La contestazione dell’illecito disciplinare al lavoratore deve essere caratterizzata dai requisiti di specificità, immediatezza ed immutabilità; in assenza dei quali il procedimento disciplinare è illegittimo e nullo il provvedimento irrogato.
I suindicati requisiti, infatti, sono volti a garantire il diritto di difesa del lavoratore incolpato. Diritto che sarebbe compromesso qualora si consentisse al datore di lavoro di intimare il licenziamento in relazione a condotte rispetto alle quali il dipendente non sia stato messo in condizione di discolparsi, perché non tempestivamente contestate, perché diverse da quelle oggetto di iniziale contestazione, perché non adeguatamente definite nelle loro modalità essenziali.
Sulla base di questo principio, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, ha sancito la nullità del licenziamento – per violazione del procedimento disciplinare ex art. 7 Legge 300/1970 – intimato ad una lavoratrice, per aver quest’ultima comunicato notizie riservate all’esterno dell’azienda datrice, esprimendo oltretutto giudizi denigratori nei confronti dell’azienda medesima.
La Suprema Corte conferma nella specie la genericità degli addebiti contestati, riguardanti – come rilevato nel merito – “fatti privi di collocazione temporale e riferiti a terzi non meglio specificati”. Non era difatti chiaro – si legge nella sentenza n. 19103 del primo agosto 2017 – il contesto nel quale sarebbero state fornite le informazioni riservate ad una ex dipendente poi assunta da una ditta concorrente, né i tempi ed i soggetti dai quali sarebbe stata ascoltata la conversazione telefonica nel corso della quale la lavoratrice avrebbe usato espressioni offensive verso l’azienda.
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