Nullo il licenziamento intimato solo per ritorsione

Pubblicato il 14 dicembre 2021

Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta, è un licenziamento nullo, quando il motivo ritorsivo, come tale illecito, sia stato l'unico a determinare il recesso.

E' quanto precisato dal giudice del lavoro del Tribunale di Milano nel testo della sentenza n. 2798 del 18 novembre 2021.

Nel caso esaminato, un lavoratore aveva chiesto l'accertamento della natura ritorsiva del licenziamento irrogatogli dal datore di lavoro in quanto intimato a fronte della rivendicazione della sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di una diversa società, oltre che del pagamento delle ore di straordinario prestato.

Nel rispondere alla predetta rivendicazione, parte datoriale aveva contestato al ricorrente una serie di negligenze - relative alla timbratura delle presenze, all'utilizzo di un badge, alla richiesta di autorizzazione dello straordinario, alla proroga della CIG Covid, alla gestione dei buoni pasto - commesse anche alcuni anni o mesi addietro.

Nella stessa lettera di licenziamento, la società datrice aveva dato atto di aver soprasseduto alle predette negligenze sino al ricevimento della lettera di rivendicazione.

Secondo il giudice milanese, tuttavia, l'arco temporale ristretto tra rivendicazione e licenziamento, l'addebito di fatti anche risalenti nel tempo e l'ammissione della stessa società convenuta di aver in precedenza soprasseduto, erano da considerare elementi sintomatici e presuntivi della natura ritorsiva del provvedimento espulsivo.

Datore contumace nella causa di licenziamento? Prova non assolta

Nel giudizio in esame, inoltre, parte datoriale era rimasta contumace e non aveva assolto il proprio onere probatorio di dimostrare la sussistenza del fatto contestato e alla base del recesso.

Nel caso di contumacia del datore di lavoro - è stato infatti evidenziato nella decisione - "il fatto contestato è indimostrato e, quindi, insussistente, senza ulteriori oneri probatori a carico del lavoratore, ai fini della tutela reintegratoria".

Non avendo, quindi, parte convenuta, introdotto elementi a dimostrazione dei fatti contestati, non risultava sussistere alcuna ulteriore motivazione alla base del licenziamento.

Il recesso, in definitiva, risultava determinato esclusivamente dall'intento di rappresaglia.

Ciò posto, la Sezione lavoro del Tribunale lombardo ha ritenuto applicabile, ratione temporis, la tutela di cui all'art. 2 del D.lgs. 23/2015, con condanna del datore di lavoro alla reintegra del dipendente nel proprio posto di lavoro, con corresponsione, altresì, di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, detratto l'aliunde perceptum, oltre al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti.

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