La notifica della cartella esattoriale effettuata dall’agente postale al familiare dichiaratosi convivente è nulla se poi il destinatario dimostri, depositando certificato di residenza, di abitare altrove e non con il parente che ha ritirato il plico.
E’ quanto stabilito dalla Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 10543 del 15 aprile 2019, con cui è stato respinto il ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione di merito che aveva annullato alcuni avvisi di intimazione per il pagamento di cartelle esattoriali consegnati, dal postino, al padre del contribuente, dichiaratosi convivente di quest’ultimo.
La Suprema corte ha disatteso, tra gli altri, il motivo di ricorso con cui il Fisco aveva lamentato che la CTR non avesse attribuito alla relata di notifica della cartella, attestante la consegna al familiare convivente, valore di atto dotato di pubblica fede.
In proposito, i giudici di Piazza Cavour hanno richiamato alcuni principi già affermati in sede di legittimità con riferimento alla validità del procedimento di notifica di una cartella esattoriale.
Per la validità della notificazione – hanno, quindi, precisato - la parentela e la convivenza tra destinatario dell’atto e consegnatario che si dichiari “familiare convivente”, non possono presumersi sulla base dell’attestazione dell’agente postale, che fa fede solo delle dichiarazioni a lui rese, ma non dell’intrinseca veridicità del relativo contenuto.
Ne consegue che qualora, come nel caso in esame, il destinatario abbia poi prodotto, a confutazione di tale veridicità, un certificato storico di residenza, lo stesso non è poi tenuto ad un’ulteriore, impossibile, prova del fatto negativo circa l’assenza di ogni relazione di parentela e convivenza col consegnatario dell’atto.
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