Successivamente a sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione di illegittimità di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena da parte del giudice dell'esecuzione.
E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, prima sezione penale, con sentenza n. 34539 depositata il 6 agosto 2015, accogliendo il ricorso di un imputato – condannato ex art. 73 comma 1 bis D.p.r. 309/1990 per detenzione di hashish – avverso la pronuncia del Tribunale in funzione di giudice dell'esecuzione.
Secondo il ricorrente, in particolare, il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto rideterminare la pena irrogatagli, alla luce della nota pronuncia della Consulta n. 32/2014, che, dichiarando incostituzionale la modifica apportata dalla Legge n. 49/2006 all'art. 73 D.p.r. 309/1990 (articoli 4-bis e 4 vicies ter), ha determinato la reviviscenza della previgente disciplina sanzionatoria in materia di droghe leggere.
Nell'accogliere la censura, la Cassazione ha fatto propri i recenti pronunciamenti delle Sezioni Unite in materia, secondo cui la pronuncia di incostituzionalità – a differenza dell'ordinario intervento normativo – inficia sin dall'origine la disposizione impugnata e non può dirsi pertanto riconducibile alla vicenda della successione delle leggi nel tempo.
Da ciò deriva che tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza penale di condanna fondata, sia pure in parte, su una norma dichiarata incostituzionale, devono essere rimossi dall'universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile (non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili già consumati e compiuti).
Nè osta a tale conclusione – ha sottolineato la Corte – la formazione del giudicato o il dato letterale dell'art. 673 c.p.p. (che non contempla l'ipotesi di declaratoria di incostituzionalità di norma penale incidente sul trattamento sanzionatorio, ma solo di norma incriminatrice), non essendo fattori ostativi alla estensione in sede esecutiva di simili pronunce.
Nel caso in esame dunque – ha concluso la Cassazione – il giudice dell'esecuzione ha chiaramente errato circa la delimitazione del suo ambito di intervento - ritenendo cioè non consentita alcuna modifica del trattamento sanzionatorio - dovendosi ritenere illegittima la sanzione a suo tempo inflitta all'imputato, in quanto la pena deve essere necessariamente rideterminata in riferimento ad un quadro sanzionatorio coerente con i principi della suprema carta e non con quello dichiarato costituzionalemente illegittimo.
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