Con la circolare n. 25/E dello scorso 4 maggio, l’agenzia delle Entrate, nel fornire l’interpretazione della normativa che riguarda le società di comodo, ha specificato che il meccanismo per l’applicazione della suddetta disciplina non può prescindere dal rispetto del criterio di omogeneità. E’ stato osservato, infatti, che la meccanica applicazione delle regole per la determinazione dei dati da confrontare per valutare la non operatività potrebbe dar luogo ad alcune incongruenze. In particolare, nel rischio si incorre quando si ravvisa una sorta di “disomogeneità” tra ricavi effettivi e ricavi presunti. Anche se la circolare non afferma esplicitamente la necessità che il meccanismo applicativo della disciplina sulle società non operative sia “governato” da un criterio di omogeneità tra le suddette categorie di ricavi, essa, di fatto, sembra abbracciare questa tesi. E’ il caso degli interessi che maturano sui crediti diversi da quelli di finanziamento che per l’Agenzia devono essere esclusi dai proventi rilevanti per il calcolo dei ricavi effettivi imputati a conto economico. Da ciò dovrebbe trarsi la conclusione che ogni volta che un asset patrimoniale è considerato non rilevante agli effetti del calcolo dei ricavi presunti non dovrebbero essere considerati nel calcolo dei ricavi effettivi i proventi derivanti da quel bene patrimoniale. Un esempio specifico di questa fattispecie è rappresentato dagli “immobili merce”, che sono esclusi in via di principio dal computo dei ricavi presunti. Infine, si deve osservare che se il contribuente ottiene dalla Dre una risposta positiva a un interpello disapplicativo parziale, allora egli dovrà effettuare il test di operatività senza tener conto non solo del bene per il quale ha ricevuto risposta positiva ma anche dei proventi correlati da computare a conto economico.
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