Non deve l’Irap il collaboratore di uno studio associato

Pubblicato il 01 agosto 2011 Un collaboratore di uno studio associato ha richiesto al Fisco la restituzione dell’Irap versata, per gli anni 1998/2003, nei quali si era appoggiato ad uno studio altrui e presso lo stesso aveva svolto la propria attività senza dotarsi di un’autonoma organizzazione, avvalendosi dei mezzi e dei beni strumentali riconducibili alla struttura complessa.

La Ctr del Lazio con la sentenza n. 111/2009, aveva ritenuto legittimo il rimborso dell’imposta versata dal momento che mancava al professionista “quel qualcosa in più rispetto a una situazione ritenuta normale” sia per ciò che riguardava i beni impiegati che per l’apporto personale.

Per l’Amministrazione finanziaria, invece, la struttura messa a disposizione del privato professionista, prima che diventasse un associato, ha contribuito notevolmente ad accrescere la propria produttività. Dunque, l’Irap versata per quegli anni era dovuta. Di qui, il ricorso in giudizio.

La questione è stata sciolta definitivamente dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15805 del 19 luglio 2011, con la quale è stato rigettato il ricorso principale.

Per la Corte è evidente che il contribuente, prima di divenire associato dello studio, avesse intrattenuto con l'associazione professionale un semplice rapporto di collaborazione esterna, tanto da fatturare per quello studio il 90% dei corrispettivi annui. Dunque, l’attività svolta è semplicemente da considerare come attività organizzata con uso di mezzi altrui: i beni utilizzati, infatti, erano direttamente ricollegati allo studio e non erano mai stati utilizzati per effettuare lavori in proprio.

Pertanto, l'affermazione che i mezzi messi a disposizione dallo studio associato hanno ragionevolmente accresciuto la produttività del contribuente non è da considerare fondata. L’Irap non è, così, applicabile se i mezzi di cui si è avvalso il professionista non sono personali, ma dello studio associato e gli stessi sono stati utilizzati solo come ausilio della sua attività personale, analogamente a ciò che abitualmente accade per i soggetti esclusi dall’applicazione del tributo, come i collaboratori continuativi e i lavoratori dipendenti. Il principio, valido nel caso di un professionista, trova maggiore riscontro se riferito al caso di specie, di un collaboratore di uno studio associato, risultante completamente privo di un’autonoma organizzazione.

La Corte conclude asserendo che: “la mancanza del requisito organizzativo nell'attività svolta prima del gennaio 2004 è, d'altronde, dalla sentenza ulteriormente affermata in considerazione del nesso con la differenza di incassi rispetto al quinquennio successivo; e la validità dell'inferenza non appare, in questo caso, per nulla censurata”.
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