No all’equo indennizzo se durante il processo la giurisprudenza cambia orientamento

Pubblicato il 12 marzo 2015 Con sentenza n. 4890 depositata l'11 marzo 2015, la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ha negato ai ricorrenti il pagamento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di un procedimento amministrativo, da essi instaurato dinnanzi al Tar e conclusosi ben sette anni dopo con sentenza di rigetto.

Nel procedimento presupposto, in particolare, la proposta dei ricorrenti - che, quali dipendenti della Polizia di Stato, chiedevano includersi nella base di calcolo dell’indennità di fine servizio, anche una quota in percentuale dell’indennità integrativa speciale – veniva ritenuta infondata, sulla base di un orientamento giurisprudenziale consolidatosi in un momento successivo alla proposizione del ricorso.

Quanto alla domanda di equo indennizzo in tale sede proposta, la Suprema Corte ha innanzitutto qui precisato come detto indennizzo competa a tutte le parti processuali, indipendentemente dall’esito del giudizio presupposto.

Non può tuttavia riconoscersi quando la parte soccombente, pur consapevole della inconsistenza delle sue pretese, abbia comunque proposto una lite temeraria, difettando in tal caso la condizione di incertezza circa la ritardata definizione del processo.

Ora, sebbene nel caso in esame, non sia configurabile alcuna lite temerararia per la buona fede iniziale degli attori, tuttavia, a seguito di alcune autorevoli pronunce giurisprudenziali, la loro pretesa è poi divenuta infondata.

E precisamente, nel momento in cui si è consolidato detto nuovo orientamento, ovvero, successivamente al ricorso introduttivo, ma ben prima che i tempi processuali divenissero irragionevoli.

Pertanto non spetta ai ricorrenti alcun equo indennizzo, per non aver gli stessi subito alcun patema d’animo connesso al procrastinarsi del procedimento con incertezza circa il suo esito.
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