Niente spaccio, senza accordo tra le parti

Pubblicato il 04 agosto 2015

Con sentenza n. 33928 depositata il 3 agosto 2015, la Corte di Cassazione, prima sezione penale, ha parzialmente accolto (annullando l'ordinanza impugnata) il ricorso di un imputato avverso il provvedimento con cui il Tribunale del riesame aveva rigettato la revoca della misura cautelare in carcere, applicata per alcune ipotesi delittuose di cui al D.p.r. 309/1990.

All'imputato si contestava, in particolare, di aver fatto parte di un'associazione dedita al traffico di stupefacenti, collegata ad altra organizzazione mafiosa, operante nel medesimo territorio, dedita specificamente allo spaccio di cocaina.

Avverso l'ordinanza impugnata, l'imputato contestava, innanzitutto, carenza di motivazione, laddove il Tribunale aveva ritenuto di provare la sua partecipazione al sodalizio (ex art. 74 D.p.r. 309/1990), sulla scorta di intercettazioni – a suo dire – del tutto idonee a tal fine.

La Cassazione ha ritenuto detta prima censura priva di fondamento, sostenendo come il Tribunale, in realtà, sia giunto a giustificare la partecipazione alla consorteria sulla base di un ampio compendio indiziario, costituito da intercettazioni telefoniche ed ambientali, per ciascuna delle quali, ha fornito una spiegazione logica, coerente ed immune da vizi.

Nè sarebbe tra l'altro possibile – ha chiarito la Corte - una reinterpretazione del contenuto di dette intercettazioni, essendo, questa, operazione preclusa in sede di legittimità.

Accolta invece l'altra doglianza, volta a contestare il procedimento inferenziale seguito dal giudice del gravame, in relazione agli episodi di spaccio, effettivamente basato – a detta della Cassazione – su elementi di fatto non idonei a giustificare le conclusioni di diritto.

Dal provvedimento impugnato, infatti, non è dato dedurre il raggiungimento dell'accordo tra le parti, indispensabile per configurare la fattispecie di cui all'art. 73 D.p.r. 309/1990 . Né è dato ipotizzare, da parte del ricorrente, alcuna offerta o messa in vendita di stupefacente, facendosi riferimento a condotte costituenti un'attività meramente preparatoria (per lo più di mediazione), inidonee a determinare la lesione o la messa in pericolo dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice.

La consolidata giurisprudenza in materia, richiede espressamente il consenso tra le parti (e non anche la materiale consegna della droga all'acquirente), affinché si realizzi la fattispecie delittuosa della cessione ed acquisto di sostanze stupefacenti; consenso che tuttavia, nella fattispecie, è venuto a mancare.   

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