Niente mantenimento né occupazione della casa familiare, quando cessa la convivenza di fatto

Pubblicato il 02 aprile 2015 Con sentenza n. 4439/2012 depositata il 17 dicembre 2014, il Tribunale di Roma, prima sezione civile, si è trovato a decidere in ordine alla vicenda di una donna che aveva citato in giudizio l’ex convivente more uxorio, il quale aveva improvvisamente interrotto la relazione, protrattasi per oltre dieci anni.

Il convenuto, in particolare, dopo aver posto fine alla convivenza, aveva cessato, poco dopo, di corrispondere l’importo erogato a titolo di mantenimento, sia per la ex convivente che per il figlio, nato tuttavia da una precedente relazione di quest’ultima.

Aveva inoltre richiesto formalmente che venisse liberato l’alloggio familiare, di sua esclusiva proprietà.

Con la pronuncia in esame, il Tribunale ha innanzitutto respinto la domanda con cui l’attrice rivendicava il proprio diritto ad occupare la casa familiare.

Sul punto, i giudici hanno infatti preso atto che la convivenza more uxorio, sebbene sia oggi maggiormente tutelata sia a livello normativo che giurisprudenziale, non possa tuttavia essere totalmente equiparata alla famiglia fondata sul matrimonio, in quanto caratterizzata, per natura, da una coesione precaria, che può cessare per semplice volontà del partner.

Di conseguenza, alcun diritto di occupare l’alloggio adibito a coabitazione, può essere riconosciuto al convivente more uxorio, a seguito di scioglimento del vincolo. E ciò, anche se vi risiede un figlio minorenne che, tuttavia, nel caso di specie, è nato da una precedente relazione dell’attrice.

Né ha trovato accoglimento l’ulteriore domanda attrice per ottenere un importo mensile a titolo di mantenimento per sé e per il figlio.

Ha affermato infatti il Tribunale che la convivenza more uxorio implica la realizzazione di un rapporto di familiarità solo al momento della coabitazione (tanto che non possono essere ripetute le prestazioni erogate in costanza di essa). 

Al momento della sua cessazione, tuttavia, non residua alcun obbligo di mantenimento a carico del partner, a meno che esso non si configuri come sanzione per un comportamento violento.

A maggior ragione – hanno proseguito i giudici – nel caso di specie, nessun mantenimento spetta al figlio minore, con cui il convenuto non ha alcun rapporto genitoriale (e ciò che è stato corrisposto in corso di convivenza rientra nell’alveo delle obbligazioni naturali).

Respinta anche l’ulteriore domanda attrice di condanna del convenuto al risarcimento dei danni morali e patrimoniali.

L’esistenza dell’ “illecito endofamiliare“ – come paventato dall’attrice – è infatti ravvisabile solo quando vi sia una condotta violativa di obblighi familiari e genitoriali costituzionalmente garantiti, e non per la mera cessazione del rapporto di convivenza, non accompagnato, come nel caso di specie, da dette violazioni .
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