Niente aggravante mafiosa per il commercialista non consapevole di favorire la cosca

Pubblicato il 31 marzo 2011 La Corte di cassazione, con sentenza n. 13099 del 30 marzo 2011, ha annullato, limitatamente alla sussistenza dell'aggravante mafiosa, un'ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna con cui era stata confermata la custodia cautelare in carcere nei confronti di un commercialista indagato del reato di riciclaggio aggravato e continuato nell'ambito del dissesto di una Spa.

Nel provvedimento del Gip, confermato in sede di riesame, era stato evidenziato come ricorressero i gravi indizi di colpevolezza ed le esigenze cautelari richiesti per disporre per la custodia in carcere in quanto il professionista non poteva non conoscere la provenienza illecita del denaro da lui gestito e di favorire, quindi, non solo i tornaconti economici suoi e dei clienti, ma anche quelli della cosca mafiosa reale mandante.

Diversa la posizione dei giudici di legittimità, secondo cui, nella specie, i giudici di merito non avevano dato adeguatamente conto delle ragioni che li avevano indotti “ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie”. Nel caso in esame, cioè, non era stato provato, in concreto, che l'imputato fosse consapevole di favorire con la sua condotta, non solo gli affari illeciti del cliente, ma anche quelli della cosca mafiosa sottostante.
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