Nessuna discrezionalità nei licenziamenti collettivi

Pubblicato il 22 novembre 2022

Licenziamenti collettivi: non è ammissibile un criterio di scelta dei dipendenti da licenziare che, se anche concordato con le organizzazioni sindacali, lasci spazio a un margine di discrezionalità al datore di lavoro.

Lo ha precisato la Corte di cassazione con sentenza n. 33623 del 15 novembre 2022, nel respingere il ricorso promosso da una società, oppostasi alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato a un proprio dipendente all’esito di una procedura collettiva.

Era stata la Corte d'appello a ritenere che il recesso intimato nella specie non fosse legittimo.

Nell'accordo raggiunto tra datore di lavoro ed organizzazioni sindacali era stato previsto, quanto al criterio delle esigenze tecnico produttive, che i lavoratori sarebbero stati valutati dai responsabili delle aree operative tenendo conto della preparazione professionale e delle prestazioni qualitative e quantitative rese.

Il tutto, mediante attribuzione di un punteggio a seconda del giudizio assegnato ad ogni dipendente.

Dato che il reclamante aveva avuto un giudizio “mediocre” rispetto ad altri suoi colleghi, lo stesso era stato individuato quale dipendente da licenziare.

Quello applicato, secondo la Corte territoriale, era tuttavia un criterio che lasciava un ampio margine di discrezionalità al datore di lavoro.

Sebbene, infatti, la graduatoria fosse apparentemente rigida e oggettiva perché basata sull’attribuzione di punteggi, quanto al criterio delle esigenze tecnico produttive ed organizzative, l'espressione di un giudizio, cui poi veniva associato un punteggio, evidenziava l'esercizio di una certa discrezionalità da parte dell'azienda.

La datrice di lavoro si era opposta a tali conclusioni, provvedendo ad impugnare la sentenza di gravame davanti alla Suprema corte, ma le relative doglianze sono state giudicate infondate.

Individuazione dei lavoratori da licenziare: criteri

Gli Ermellini, nella loro decisione, hanno rammentato quanto disposto dall'art. 5, comma 1, della Legge n. 223/1991, secondo cui l'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi, ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:

In tale contesto, l'impresa deve anche comunicare per iscritto agli organi competenti la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati detti criteri di scelta.

Per garantire la trasparenza della procedura, quindi, il criterio o i criteri prescelti devono essere oggettivi e non possono trovare applicazione discrezionale.

Un criterio basato sulla discrezionalità non è infatti verificabile, mentre la legge impone "il rispetto dei criteri" e quindi dà per presupposto che la loro applicazione sia verificabile.

No a criteri di scelta che implichino valutazioni discrezionali

Come ricordato dalla giurisprudenza di legittimità, del resto, ai fini della individuazione dei lavoratori da collocare in cassa integrazione o da porre in mobilità, i criteri di scelta devono consentire di formare una graduatoria rigida che consenta di essere controllata, non potendo sussistere un margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro.

Se il datore di lavoro comunica un criterio vago, il lavoratore è privato della tutela assicuratagli dalla legge, perché la scelta in concreto effettuata dal datore di lavoro non è raffrontabile con alcun criterio oggettivamente predeterminato e si finirebbe, in realtà, per predicare l'assoluta discrezionalità del datore di lavoro nell'individuazione dei lavoratori da licenziare.

In definitiva, i criteri di scelta non possono implicare valutazioni di carattere discrezionale, neanche sotto forma di possibile deroga all'applicazione di criteri in sé oggettivi.

Naturalmente - ha evidenziato la Cassazione - la valutazione, nella fattispecie concreta, della oggettività del criterio di scelta, anche se concordato con le organizzazioni sindacali, e del margine di discrezionalità lasciato al datore spetta al giudice del merito.

E ciò era quanto accaduto nella vicenda in esame: la Corte di Appello, consapevole dei principi di diritto sopra richiamati, aveva ritenuto che, pur in presenza di una graduatoria, il criterio elaborato non fosse oggettivamente verificabile e controllabile, in quanto lasciava spazio, di fatto, ad una scelta arbitraria dei dipendenti da licenziare.

In questo modo, era stato correttamente espresso un apprezzamento di merito, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità.

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