La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18702 del 13 agosto 2010, accogliendo il ricorso del Fisco, ha negato la possibilità per le società di capitali di dedurre i compensi corrisposti all’amministratore unico oppure ai membri del consiglio di amministrazione.
La portata innovativa dell’ordinanza sta nel fatto che, per la prima volta, i giudici Supremi hanno messo sullo stesso piano l'amministratore unico e i membri del consiglio di amministrazione, riconoscendo che per nessuna delle due figure la società può beneficiare dell’agevolazione fiscale.
La conclusione a cui giunge la Corte muove dal principio previsto all'art. 62 del Decreto del presidente della Repubblica n. 917/1986 il quale, in tema di imposte sui redditi e con riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, “esclude l'ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l'opera svolta dall'imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone, non consente di dedurre dall'imponibile il compenso per lavoro prestato e l'opera svolta dall'amministratore di società di capitali: la posizione di quest'ultimo è infatti equiparabile a quella dell'imprenditore, sotto il profilo giuridico, non essendo individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società e non ricorrendo quindi l'assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare che costituisce il requisito tipico della subordinazione”.
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