La disciplina penale in tema di maltrattamenti in famiglia è applicabile anche in ambito lavorativo e a prescindere delle dimensioni dell'azienda se il rapporto datore - dipendente è di natura para-familiare, essendo caratterizzato, ossia, da relazioni intense e abituali, consuetudini di vita tra i soggetti interessati, soggezione di una parte con corrispondente supremazia dell'altra, fiducia riposta dal soggetto più debole in quello che ricopre la posizione di supremazia.
Come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, il delitto di cui all'art. 572 c.p. può configurarsi anche nel contesto lavorativo, quando il soggetto agente versi in una posizione di supremazia che si traduca nell'esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, del soggetto passivo, riconducibile a un rapporto di natura para-familiare.
Il presupposto della para-familiarità del rapporto di sovraordinazione, quindi, si caratterizza:
Lo ha ricordato la Suprema corte nel testo della sentenza n. 19268 del 16 maggio 2022, con cui ha annullato, con rinvio, la condanna impartita all'amministratore unico di una società per aver maltrattato un dipendente, mediante una serie di frequenti e reiterati comportamenti vessatori di mobbing, tali da determinare l'emarginazione del lavoratore.
Era stata la Corte d'appello ad affermare la colpevolezza dell'imputato, assolto in primo grado, dopo aver proceduto a rinnovare l'audizione della persona offesa.
Per i giudici di gravame, le notevoli dimensioni dell'azienda non escludevano, in concreto, la prossimità e la stretta relazione interpersonale esistente tra l'imputato, al quale solo faceva capo la potestà datoriale, e il lavoratore, per come dallo stesso affermato nel corso della deposizione testimoniale.
L'imprenditore aveva promosso ricorso in sede di legittimità, lamentando vizio di motivazione e inosservanza dell'onere di motivazione rafforzata ex art. 603, comma 3 bis, c.p.p. trattandosi di riforma di pronuncia assolutoria.
Secondo la difesa del ricorrente, la Corte di gravame aveva errato a non rinnovare l'istruttoria dibattimentale, limitandosi alla riaudizione della persona offesa senza procedere all'escussione dei testi, le cui dichiarazioni erano state considerate decisive ai fini del proscioglimento in prime cure.
Censurata, inoltre, violazione ed erronea applicazione dell'art. 572 c.p. in tema di maltrattamenti in famiglia, essendo inconfigurabile, nella specie, il requisito della para-familiarità, a fronte della struttura e delle dimensioni dell'azienda.
La Corte di cassazione ha giudicato fondate tali doglianze: i giudici di secondo grado erano pervenuti a un giudizio di responsabilità dell'imputato ancorandolo alla esclusiva valorizzazione della deposizione della persona offesa, nell'ambito di una più larga ma astratta esegesi circa le ragioni e i limiti dell'inquadramento del mobbing nella fattispecie criminosa di cui all'art. 572, comma 2 c.p.
Prima di ritenere acquisita la prova della colpevolezza del ricorrente "oltre ogni ragionevole dubbio", però, la Corte d'appello avrebbe dovuto procedere alla doverosa istruttoria mediante la deposizione di tutti i testi escussi in primo grado; ciò, a maggior ragione se si considera la necessità, nel caso in esame, di valutare la prova rigorosa della para-familiarità con riguardo ad un'azienda caratterizzata da un'organizzazione complessa e articolata.
A fronte di una pronuncia assolutoria in primo grado, fondata prevalentemente sulla interpretazione e valutazione di prove dichiarative, l'apprezzamento giudiziale di responsabilità, oltre ogni ragionevole dubbio, non poteva essere affidato a una mera rilettura alternativa dei medesimi dati alla luce della deposizione della sola persona offesa, ma pretendeva la previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
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