Il mobbing immobiliare consiste nelle pressioni, anche illegali, che i proprietari dell’immobile fanno per cacciare gli inquilini allo scopo di sfruttare meglio il bene o in relazione ad un piano di trasformazione urbanistica.
E’ questa la definizione che si desume dal testo di una sentenza depositata dalla Terza sezione civile di Cassazione e con la quale è stata annullata una decisione di merito, limitatamente alla motivazione di rigetto della domanda di risarcimento avanzata da un inquilino a titolo di mobbing immobiliare subito.
Nella vicenda di specie, il conduttore aveva lamentato come, fin dal 1995, il proprietario avesse iniziato tutta una serie di azioni, tutte documentate e risoltesi in favore del primo, con l’unico scopo di risolvere il contratto di locazione.
Per il ricorrente, questa serie di azioni, tutte infondate e temerarie tanto da essere sempre rigettate, avevano costituito indebita e scorretta forma di pressione nei propri confronti.
Secondo la Suprema corte - sentenza n. 5044 del 28 febbraio 2017 - la motivazione fornita sul punto dalla Corte d’appello era da ritenere “mancante o apparente”.
La stessa, appellata anche come “chiaramente eccentrica rispetto all’oggetto in ordine al quale avrebbe dovuto essere fornita”, si era, infatti, limitata ad asserire che vi erano i presupposti per agire ex articolo 96 del Codice di procedura civile in ogni procedimento temerario avviato dal locatore nei confronti del conduttore.
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