E’ stata depositata la decisione della Corte costituzionale, già anticipata il 25 ottobre 2017, con cui sono state dichiarate non fondate le questioni di illegittimità sollevate relativamente al Decreto legge n. 65/2015 in tema di perequazione delle pensioni.
Le censure di incostituzionalità erano state sollevate, con ben quindici ordinanze, da diversi tribunali ordinari (Palermo, Milano, Brescia, Napoli, Genova, Torino, La Spezia e Cuneo) nonché dalla Corte dei conti dell’Emilia Romagna, nell’ambito di giudizi attivati, nei confronti dell’INPS, da diversi pensionati che avevano chiesto l’accertamento del diritto alla rivalutazione automatica del trattamento pensionistico loro spettante.
La Consulta ha ricordato come le specifiche previsioni denunciate – di cui ai commi 25 e 25-bis dell’articolo 24 del Decreto legge n. 201/2011 come modificati dal Decreto-legge n. 65/2015 - fossero state adottate dal legislatore per dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70/2015, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del testo previgente.
A fronte di questo dichiarato intento, era stato operato un nuovo bilanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti nella materia ed era stato, quindi, introdotto un meccanismo che prevedeva il blocco della perequazione per due soli anni e il conseguente “trascinamento” dello stesso agli anni successivi.
Meccanismo che, a detta della Corte costituzionale, non costituisce un sacrificio sproporzionato rispetto alle esigenze, di interesse generale, perseguite dai denunciati commi 25 e 25-bis.
Anzi. Questi ultimi – si legge nella sentenza n. 250 del 1°dicembre 2017 - sono il frutto di scelte non irragionevoli del legislatore volte ad individuare un equilibrio fra i diversi valori coinvolti.
Sarebbe stato realizzato, in definitiva, un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica.
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