Maternità surrogata senza reato

Pubblicato il 06 aprile 2016

Consentita all’estero? Niente atto falso

E’ stata confermata da parte della Corte di cassazione la decisione con cui il Gup del Tribunale di Napoli aveva assolto una coppia dai reati di alterazione dello stato civile e di falsa attestazione per aver iscritto la nascita di un minore, nato a seguito di tecniche di maternità surrogata in Ucraina, presso un ufficio dello stato civile italiano, a seguito della dichiarazione della madre surrogata, attestata da apposita certificazione.

Non ravvisabile alcuna alterazione stato civile

La Corte di legittimità ha ritenuto corretto l’operato del giudice di merito e con cui, in primo luogo, era stato dato atto della conformità della procedura seguita dalla coppia alla disciplina dello Stato in cui il minore, cittadino italiano in quanto figlio di un padre italiano, era nato.

Con la detta decisione, gli imputati erano stati assolti “perché il fatto non sussiste” in quanto gli stessi – a detta del Gup -  senza attestare alcunché, si erano limitati a richiedere la trascrizione di un atto ufficiale redatto dai pubblici ufficiali in conformità alla normativa vigente.

Non era quindi individuabile, nei loro confronti, alcun atto falso o dolosamente creato sulla base di dichiarazioni non veritiere.

Sul punto, la Suprema corte – sentenza n. 13525 depositata il 5 aprile 2016 - ha sottolineato come, sulla base della ricostruzione dei fatti, non era ravvisabile alcuna alterazione dello stato civile del minore nell’atto di nascita in discussione, atto di nascita che, per contro, risultava perfettamente legittimo alla stregua della normativa nella quale doverosamente era stato redatto.

Scriminante esercizio putativo del diritto

Rispetto all’ulteriore contestazione loro mossa, ed ossia la fattispecie di cui all’articolo 12, comma 6 della Legge n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, l’organo giudicante nel merito aveva ritenuto che il fatto non costituisse, nella specie, reato in quanto, comunque, gli imputati non avevano avuto alcuna volontà di commettere l’illecito; questo era dimostrato dal fatto che si erano recati in una nazione ove la sopra citata pratica era lecita, con la conseguenza che era configurabile la causa scriminante dell’esercizio putativo del diritto.

Respinto, in definitiva, il ricorso promosso in sede di legittimità da parte del Procuratore della Repubblica.

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