Secondo la Corte di giustizia, la legislazione comunitaria è di ostacolo a una normativa nazionale – come, nella specie, quella italiana - che consente lo svolgimento di un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite di manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico.
Questo – viene precisato – “nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva”.
Inoltre, alla luce del principio del “ne bis in idem”, ai soggetti dell’ordinamento è conferito un diritto direttamente applicabile nell’ambito di una controversia come quella oggetto del procedimento principale, instaurato tra diversi soggetti e la Consob, in merito alla legittimità o meno di una sanzione amministrativa pecuniaria che era stata inflitta ai primi per violazioni della normativa in materia di manipolazione del mercato.
Le conclusioni in oggetto sono state rese dai giudici Ue in risposta ad una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione italiana, che verteva sull’interpretazione dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla luce dell’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU (Diritto di non essere giudicato o punito due volte).
Gli Ermellini si erano rivolti alla Corte Ue dubitando della compatibilità, all’articolo 50 richiamato, del procedimento riguardante la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dalla Consob, dopo che per le medesime condotte di manipolazione era stata emanata una sentenza penale di condanna, divenuta definitiva.
Per la Cassazione, la sanzione amministrativa pecuniaria inflitta in forza dell’articolo 187 ter del TUF era, infatti, di natura penale ai sensi dell’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sua sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri C/Italia.
Le condotte contestate nell’ambito del procedimento amministrativo, ossia, erano le stesse sulla base delle quali era già stata inflitta la sanzione penale.
Rispondendo ai rilievi della Cassazione, la Corte di giustizia – sentenza del 20 marzo 2018, causa C-537/16 – ha sottolineato come il principio del ne bis in idem vieti il cumulo non solo di procedimenti penali ma anche di sanzioni di natura penale per i medesimi fatti e nei confronti della stessa persona.
A seguire, i giudici europei si sono soffermati sui tre criteri che il giudice del rinvio deve considerare per valutare la natura penale dei procedimenti e delle sanzioni, per come già individuati dalla giurisprudenza della medesima Corte. Essi sono:
Orbene – si legge nella sentenza - nella specie, l’articolo 187 ter del TUF che si assume violato nel procedimento amministrativo principale, prevede una sanzione che, in talune circostanze, può divenire particolarmente gravosa. Per stesso riconoscimento del Governo italiano, inoltre, l’applicazione di tale sanzione comporta sempre la confisca del prodotto o del profitto ottenuto grazie all’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo.
Tale sanzione, dunque, non ha soltanto lo scopo di risarcire il danno causato dall’illecito, ma persegue anche una finalità repressiva e presenta, pertanto, natura penale.
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