Con sentenza n. 20560 depositata il 13 ottobre 2015, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha accolto la pretesa di alcuni azionisti di minoranza a vedersi risarcire, da parte delle società convenute, tutti i danni subiti in conseguenza della violazione dell'art. 106 e ss. D.Lgs. 58/1998, non avendo queste ultime adempiuto l'obbligo di promuovere l'offerta pubblica di acquisto previsto da queste norme, pur avendo superato, congiuntamente, la soglia del 30% di capitale.
Detta pretesa, dapprima accolta in primo grado, veniva poi disattesa dalla Corte territoriale, avverso la cui pronuncia gli azionisti ricorrenti lamentavano la violazione di un loro presunto diritto soggettivo, violato per effetto del mancato lancio dell'opa, costituente un vero e proprio obbligo giuridico (fonte di responsabilità contrattuale) per lo scalatore e non un mero onere.
Nell'accogliere la censura, la Cassazione ha contestato l'assunto del giudice di secondo grado, nella parte in cui riteneva che l'apparato sanzionatorio previsto dalle norme sopra citate, sarebbe stato tale da soddisfare pienamente anche l'interesse degli azionisti di minoranza. Detta osservazione – secondo i giudici di legittimità - si pone infatti in contrasto con la costante giurisprudenza, secondo cui sarebbe configurabile un distinto ed autonomo diritto dell'azionista di minoranza al disinvestimento della propria partecipazione azionaria.
Ne consegue dunque – conclude la Corte Suprema – che in caso di violazione dell'obbligo di offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni di una società quotata nel mercato regolamentato, da parte di chi sia venuto a detenere una partecipazione superiore al 30% del capitale sociale (come per l'appunto nel caso di specie), compete agli azionisti cui l'offerta avrebbe dovuto essere rivolta, il diritto di ottenere il risarcimento del danno sofferto. Risarcimento che va accordato nella misura in cui detti azionisti riescano a dimostrare di aver perso una possibilità di guadagno per la mancata promozione dell'offerta.
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