I magistrati possono partecipare, a certe condizioni, alla vita politica, candidandosi alle elezioni o ottenendo incarichi di natura politica, ma non possono iscriversi a partiti politici oppure partecipare all’attività di partito in modo sistematico e continuativo.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 170 del 20 luglio 2018, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate dalla sezione disciplinare del Csm sull’illecito a carico del magistrato che si iscrive o partecipa sistematicamente e continuativamente all’attività di un partito politico.
Si riafferma che i magistrati hanno gli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino, ma occorre tenere in considerazione le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dagli stessi che non sono prive di effetto per l’ordinamento costituzionale, al fine di stabilire i limiti che possono essere opposti all’esercizio di quei diritti. La giustificazione di tali limiti risiede nella delicatezza delle funzioni giudiziarie, che implicano principi costituzionali di indipendenza e imparzialità che le caratterizzano.
Deve rimanere ben distinto, per i magistrati, l’esercizio dell’elettorato passivo e l’organico schieramento con una delle parti politiche in gioco.
Deve quindi ritenersi applicabile ad ogni magistrato, in qualunque posizione si trovi, l’illecito disciplinare a seguito dell’iscrizione o della partecipazione sistematica e continuativa ai partiti politici, quale presidio dei principi suddetti.
Sarà la Sezione disciplinare del CSM, per i magistrati collocati temporaneamente fuori ruolo per l’esercizio di un mandato elettivo o di un incarico politico, a stabilire in concreto se la loro condotta rientri nella partecipazione alla vita di un partito o se costituisca illecito disciplinare, quindi sanzionabile.
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