Una clausola dello statuto sociale che, a tutela della minoranza, preveda un quorum decisionale rafforzato per l’adozione di determinate delibere, nel silenzio dello statuto medesimo, non può essere modificata con un quorum ordinario.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, accogliendo il ricorso del rappresentante legale di una società.
Secondo la Cassazione infatti, alla stregua del fondamentale criterio di buona fede, illuminato dal rilievo della comune intenzione delle parti, appare intrinsecamente contraddittorio, in presenza di una clausola finalizzata a garantire, con riferimento a determinate materie, un potere di interdizione ad una minoranza determinata, contemporaneamente consentire alla maggioranza non qualificata di modificare liberamente la previsione che tale potere attribuisce.
In altre parole, salva una non equivoca diversa volontà negoziale – nella specie insussistente – una clausola che protegga la minoranza chiedendo una maggioranza rafforzata per le delibere aventi ad oggetto argomenti concernenti determinate materie, non può essere modificata con una maggioranza più limitata.
E che tale fosse la funzione della clausola statutaria controversa – conclude la Corte con sentenza n. 4967 del 14 marzo 2016 – ben si desume dalla ricostruzione operata nella pronuncia impugnata, che ne ha individuato l’obiettivo di fissare i rapporti di forza esistenti al momento e di assicurare la persistenza degli stessi attraverso la previsione di una maggioranza che imponeva l’accordo tra i diversi gruppi.
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