Per la Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 25711 del 15 ottobre 2018, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari - come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale - che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione (ex multis: Cass. Sezz. Unite 30/06/1999 n. 379, le cui affermazioni sono rimaste nel tempo costanti).
Non bastano, tuttavia, il rispetto di un orario, i controlli sulla qualità del servizio reso, l'obbligo di indossare un abbigliamento consono e l’utilizzo del badge di identificazione - che costituiscono per gli Ermellini regole minime compatibili con la natura autonoma della prestazione - per riconoscere un rapporto di lavoro subordinato se, dall'esame degli accordi intercorsi tra le parti e delle concrete modalità di svolgimento della prestazione, non è risultato provato lo stabile inserimento nell'organizzazione produttiva con assoggettamento al potere organizzativo del datore di lavoro.
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