L’uso di software senza licenza non è reato se non c’è scopo di lucro
Pubblicato il 27 dicembre 2010
Ad un avvocato era stata contestata la violazione della normativa relativa al diritto d’autore per aver utilizzato nell’ambito della sua attività alcuni programmi informatici senza averne la licenza. Essendo i suddetti software non originali, ma duplicati, i giudici del tribunale avevano condannato il professionista per violazione dell’articolo 171-bis della legge n. 633/41, che punisce l’utilizzo e la detenzione di programmi contraffatti.
L’avvocato – condannato anche in appello con l’accusa di aver duplicato il programma e averne tratto un indubbio profitto - ricorre in Cassazione.
La Suprema Corte, sezione III penale, con la sentenza n.
42429/2010, invece, accoglie il ricorso e assolve il professionista.
I Giudici analizzando il disposto normativo di cui al citato articolo 171-bis, ravvisano una condotta scorretta nel caso di duplicazione dei programmi con intenti di lucro e nel caso di detenzione e distribuzione a scopo commerciale. Ma, dal momento che l’utilizzo del software abusivamente duplicato non rientra in nessuna delle due fattispecie indicate, il ricorrente non incorre in alcuna ipotesi di reato. Infatti, l’attività svolta dall’avvocato non rientra “in quella commerciale o imprenditoriale contemplata” e per tali ragioni il professionista non commette reato ai sensi della legge sul diritto d’autore, che punisce la detenzione del software a scopo imprenditoriale o commerciale. Dunque, per la Corte non è possibile estendere analogicamente ogni ipotesi di lavoro autonomo nell’ambito della nozione di attività imprenditoriale.