La Corte di Cassazione, sesta sezione civile, investita del regolamento di competenza in ordine ad una lite societaria – inerente la distribuzione di dividendi in una società di persone - ha confermato la nullità della clausola compromissoria contenuta nello statuto, la quale, nel prevedere il deferimento al giudizio di un arbitro amichevole compositore di tutte le controversie insorgenti tra i soci, o tra i soci e la società, disponeva che detto arbitro dovesse essere scelto di comune accordo tra le parti, o in caso di disaccordo, dal Presidente del Tribunale ad istanza della parte più diligente. In tal modo, attribuendo alle stesse parti, in via principale, il potere di nomina e configurando il ricorso all'autorità giudiziaria come una facoltà meramente subordinata, destinata ad operare soltanto nel caso in cui le parti non riuscissero a raggiungere un consenso sulla designazione.
Detta disciplina, secondo la Suprema Corte, si pone palesemente in contrasto con il dettato di cui all’art. 34 comma 2 D.Lgs. n. 5/2003 ai sensi del quale, indipendentemente dal numero e dalla modalità di nomina, il potere di designazione degli arbitri deve essere conferito, a pena di nullità, ad un soggetto estraneo alla società e nel caso in cui questi non provveda, al Presidente del Tribunale nel luogo in cui la società ha la sua sede legale, su richiesta delle parti.
Non resta in tal caso – proseguono gli ermellini – che rilevare la nullità della impugnata clausola compromissoria, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, l’eccepita circostanza che la clausola risalga ad epoca anteriore rispetto all'entrata in vigore della sopra menzionata normativa.
La stessa Corte di legittimità ha difatti affermato, in proposito, che l’entrata in vigore dell’art. 34 D.Lgs. 5/2003 - nella parte in cui dispone che il potere di nomina di tutti gli arbitri debba essere necessariamente attribuito ad un terzo estraneo alla società – ha comportato la nullità sopravvenuta delle clausole compromissorie, anche per arbitrato irrituale, contenute negli statuti di società (anche di persone), che attribuivano il predetto potere in via principale alle parti e solo in caso di disaccordo al Presidente del Tribunale, non oggetto di adeguamento entro i termini previsti dal codice civile.
Stante dunque l’esclusione della competenza arbitrale – conclude la Corte con ordinanza n. 21422 del 24 ottobre 2016 – non resta che individuare, in via definitiva, il giudice competente. Ed avendo la domanda in questione in oggetto il pagamento di una somma di denaro (originando la controversia da un decreto ingiuntivo concesso in favore dell’usufruttuario di una quota sociale, che lamentava il mancato pagamento degli utili da parte della società), trovano applicazione, oltre al foro generale delle persone giuridiche, coincidente con la città ove ha sede la società opponente, anche i fori alternativi di cui all'art. 20 c.p.c. . Tra questi ultimi, il foro dove è sorta l’obbligazione dev'essere anch'esso individuato nel medesimo Tribunale ove è la sede sociale, dovendosi presumere che l’approvazione del rendiconto, dalla quale dipende nelle società di persone il diritto del socio di percepire gli utili, abbia avuto luogo nella medesima sede.
Quanto invece al foro del luogo in cui l’obbligazione deve essere eseguita, trova applicazione la regola di cui all'art. 1182 c.c., secondo cui la relativa obbligazione, avente ad oggetto una somma determinata ed esigibile, va adempiuta presso il domicilio del creditore (che nella specie non coincide con la sede sociale).
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