Mobilità: il giudice non può sindacare il merito delle scelte aziendali

Pubblicato il 17 dicembre 2020

In materia di procedure di mobilità e di individuazione dei lavoratori da licenziare, non possono trovare ingresso, in sede contenziosa, tutte quelle censure volte ad investire l'autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell'attività produttiva.

Motivi di riduzione del personale non sindacabili in sede giudiziaria

Difatti, la Legge n. 223/1991, nel prevedere, agli artt. 4 e 5, la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha sostituito al controllo giurisdizionale esercitato ex post del precedente assetto ordinamentale, un controllo ex ante, in capo alle organizzazioni sindacali, dell'iniziativa imprenditoriale sul ridimensionamento dell'impresa.

Ne discende che i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale ma solo la correttezza procedurale dell'operazione.

Fungibilità: onere di deduzione e di prova al lavoratore

Laddove, poi, la ristrutturazione della azienda interessi una specifica unità produttiva o un settore, la comparazione dei lavoratori per l'individuazione di coloro da avviare a mobilità può essere limitata al personale addetto a quella unità o a quel settore, salvo l'idoneità dei dipendenti del reparto, per il pregresso impiego in altri reparti della azienda, ad occupare le posizioni lavorative dei colleghi a questi ultimi addetti: spetta ai lavoratori, in tali ipotesi, l'onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni.

Il criterio della fungibilità, ciò posto, opera nel senso che, ove il lavoratore interessato dal licenziamento abbia dimostrato di possedere una professionalità fungibile, la sua comparazione può non essere limitata a quella degli appartenenti allo stesso reparto o settore interessato dalla riduzione, fermo restando che in tali casi spetta pur sempre al medesimo l'onere di allegare e dimostrare tale sua fungibilità.

Sono i principi ribaditi dai giudici di Cassazione nel testo della sentenza n. 28816 del 16 dicembre 2020, con cui è stata cassata una decisione di merito che aveva accolto le ragioni di un lavoratore, licenziato all'esito di una procedura di mobilità ex Legge n. 223/91.

I giudici di merito avevano ordinato la reintegrazione del deducente nel posto di lavoro, con risarcimento del danno, rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Questo, nonostante il prestatore non avesse dimostrato di avere una professionalità fungibile rispetto al diverso profilo professionale per il quale la datrice non aveva ritenuto esistenti eccedenze di personale.

Piuttosto, applicando erroneamente il principio di diritto relativo alla rilevanza della professionalità fungibile, la Corte territoriale aveva spinto la sua analisi sul merito delle scelte aziendali, compiendo, quindi, un'indagine preclusa al giudice ai sensi dell'art. 41 Cost.

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