Per la Cassazione (sentenza n. 13516 dell’1 luglio 2016), il controllo giurisdizionale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per non sconfinare in valutazioni di merito che si sovrappongano a quelle dell'imprenditore (la cui autonomia è garantita dall’art. 41, c. 1° Cost.), deve limitarsi a verificare che il recesso sia dipeso da genuine scelte organizzative di natura tecnico-produttiva e non da non pretestuose ragioni atte a nasconderne altre concernenti esclusivamente la persona del lavoratore licenziato.
In breve, ciò che conta è che vi sia un genuino ed effettivo mutamento nell'organizzazione tecnico-produttiva (non contingente ma destinato a protrarsi stabilmente nel tempo) all'esito del quale risulti in esubero una data posizione lavorativa.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, nel concetto di giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva rientra la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, senza che sia necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuitegli, ben potendo le stesse essere anche solo diversamente ripartite.
Si tratta di una scelta insindacabile nei suoi profili di opportunità ed efficacia.
Al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore, nel senso che ne risulti l'effettività e la non pretestuosità per cui – chiariscono gli Ermellini - in linea di massima, la soppressione di una data posizione lavorativa può derivare:
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