Licenziamento per malattia e scarso rendimento
Pubblicato il 25 settembre 2014
La Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014, ha sostenuto che le assenze per
malattia possono comportare un legittimo licenziamento per scarso rendimento anche senza che si sia
superato il comporto.
Malattia e licenziamento
La malattia può essere motivo di licenziamento solo in caso di
superamento del periodo di comporto.
Ulteriori casi in cui la giurisprudenza ha ritenuto lecito il licenziamento in stretta connessione con la
malattia sono:
- la reiterata
assenza ingiustificata alla visita di controllo, nell’orario compreso nelle fasce di
reperibilità;
- lo svolgimento, durante l’assenza dal lavoro per malattia, di
altre attività lavorative, anche se a
titolo gratuito;
- lo svolgimento reiterato, durante l’assenza dal lavoro per malattia, di
attività non lavorative che,
però, possano
pregiudicare e/o ritardare la guarigione, anche se svolte al di fuori delle ore di
reperibilità.
Il licenziamento per superamento del comporto
La Cassazione (da ultimo la sentenza n. 2971, del 7 febbraio 2011) ritiene che il recesso datoriale per
superamento, da parte del lavoratore, del periodo di comporto, costituisce un’ipotesi del tutto peculiare di
cessazione del rapporto di lavoro, non dovuta né ad un fatto dell'azienda, né, propriamente, ad un fatto o
colpa propri del lavoratore, ma piuttosto all'impossibilità di quest'ultimo di assicurare con sufficiente
continuità la propria prestazione.
Proprio per questo motivo esiste l’ipotesi in questione, che è stata regolata in una norma speciale, quella
dell'art. 2110 c.c., comma 2, distinta da quelle disciplinanti l'estinzione del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza consolidata della Suprema Corte ha posto in luce la suddetta specialità, anche rispetto
alla disciplina limitativa dei licenziamenti contenuta nelle Leggi n.
604/1966 e n.
300/1970, giungendo alla
conclusione che «la fattispecie di recesso del datore di lavoro, per l'ipotesi di assenze determinate da
malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di
diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), si inquadra nello schema previsto, ed è soggetta
alle regole dettate dall'art. 2110 c.c., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della
risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla
disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialità e
del contenuto derogatorio delle suddette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente
recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità
dell'assenza (cosiddetto periodo di comporto), predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli
usi, oppure, in difetto di tali fonti determinato dal giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento
di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è all'uopo necessaria la
prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né
della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati
disposizioni o principi costituzionali» (ex plurimis: Cass., sent. n. 1861/2010 e Cass. sent. 54139/2003).
Conseguentemente, solo l'oggettivo
superamento del periodo di comporto determina la legittimità del
recesso datoriale, mentre l'oggettiva carenza di tale presupposto esclude la validità del recesso.
Lo scarso rendimento
Si ha “scarso rendimento” del dipendente nel caso in cui la prestazione lavorativa di quest’ultimo non
raggiunga il
livello quantitativo minimo, implicito nel contratto.
Per giurisprudenza prevalente, lo scarso rendimento, dovuto ad un
comportamento colposo o doloso del
lavoratore, diventa fonte di responsabilità e può configurare un’ipotesi di
giustificato motivo soggettivo di
licenziamento proprio perché conseguenza di una negligenza nell’adempimento.
Tuttavia, la Cassazione (sentenza n. 3250 del 2003) ha anche affermato che lo scarso rendimento può
integrare gli estremi di un licenziamento per
giustificato motivo oggettivo, qualora il deficit di prestazione
incida negativamente sull’organizzazione aziendale e sul regolare svolgimento dell’attività produttiva, a
prescindere dalla colpa del lavoratore.
Malattia e scarso rendimento
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014, si è discostata dal suo precedente
orientamento, anche se a proposito di assenze che si verificavano “
a macchia di leopardo”, ovvero:
- per un numero esiguo di giorni (in genere due o tre);
- reiterate anche all’interno dello stesso mese;
- costantemente agganciate ai giorni di riposo.
Nel caso di specie, anche se non c’è stato superamento del periodo di comporto, senza indagare neanche
sulla veridicità delle certificazioni mediche né sulla malattia di per sé incolpevole, sono state contestate al
lavoratore un numero tale di
assenze tattiche che davano luogo ad una
prestazione lavorativa non
sufficientemente e proficuamente utilizzabile per la società datrice di lavoro, rivelandosi la stessa
inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale, tanto da giustificare
il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In merito, la Corte ha ricordato che è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso
rendimento qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal
lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della
diligente collaborazione dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell’enorme
sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente
realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una
media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di
produzione (Cass., sentenza n. 3876/ 2006).
Ebbene, nel caso di specie le assenze in questione, anche se incolpevoli, davano luogo a scarso rendimento
e rendevano la prestazione non più utile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione
aziendale.
Inoltre, sulla decisione degli Ermellini ha inciso anche la ricaduta che le suddette assenze creavano
nell’
organizzazione aziendale, ovvero il fatto che, come emerso dalle testimonianze rese dagli altri
dipendenti:
- le stesse fossero comunicate all’ultimo momento e comportassero difficoltà a reperire sostituti;
- le stesse avvenissero sempre quando il lavoratore doveva effettuare il turno di fine settimana o il
turno notturno e causassero anche malumori nei colleghi.
Conclusioni
Finora, l’
eccessiva morbilità del dipendente non aveva mai portato ad un licenziamento per giustificato
motivo oggettivo per scarso rendimento in quanto, tra l’interesse del datore di lavoro ad avere alle proprie
dipendenze soggetti capaci e produttivi e l’interesse del lavoratore alla garanzia del posto di lavoro in caso
di malattia, fino al limite del comporto, prevaleva il secondo.
Tuttavia, se dovesse farsi strada questo nuovo orientamento che guarda alla malattia come causa di disagio
per l’azienda, si rischierebbe di colpire non solo i cosiddetti “malati tattici” ma anche i soggetti che, loro
malgrado, pur non rientrando nella casistica della sopravvenuta impossibilità della prestazione, soffrono di
malattie che li portano a doversi assentare ripetutamente nel tempo.
Norme e prassi
Articolo 2110 c.c.
Legge n. 604/1966
Legge n. 300/1970
Cassazione, sentenza n. 3250/2003
Cassazione, sentenza n. 54139/2003
Cassazione, sentenza n. 3876/ 2006
Cassazione, sentenza n. 1861/2010
Cassazione, sentenza n. 2971 del 7 febbraio 2011
Cassazione, sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014