Nel caso in cui il datore di lavoro abbia in precedenza aperto una procedura di mobilità, ossia avviato un licenziamento di tipo collettivo ai sensi della L. n. 223/1991, conclusasi con accordo sindacale non accettato dal lavoratore, il dipendente non può essere estromesso dall’azienda individualmente sulla base delle stesse ragioni della predetta procedura. Diversamente ragionando, infatti, verrebbe meno l’effettività del controllo svolto dal sindacato.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 808 del 16 gennaio 2020.
Nel caso di specie, un datore di lavoro, decorsi i termini previsti dalla L. n. 223/1991 (procedura di licenziamento collettivo), licenziava per giustificato motivo oggettivo un dipendente che, seppur in esubero, non aveva accettato l’accordo, motivando il recesso individuale con la soppressione della posizione lavorativa. Sebbene, in prima battuta il Tribunale avesse dichiarato nullo il recesso in quanto ritorsivo, nel secondo grado di giudizio la Corte d’Appello di Genova aveva escluso la nullità ma non l’illegittimità.
I giudici di merito, infatti, dichiaravano risolto il rapporto in base all’art. 18, co. 5 e 7 della L. n. 300/1970, condannando il datore di lavoro al pagamento della relativa indennità risarcitoria.
Alla base del licenziamento illegittimo, la Corte d’Appello sottolineava il fatto che il licenziamento individuale sarebbe avvenuto sulla base delle stesse motivazione di quello collettivo, circostanza, questa, non ammessa dalla normativa.
La Suprema Corte, nel respingere i motivi di ricorso dell’azienda, ha affermato che il licenziamento individuale, preceduto da una procedura di mobilità collettiva, non può definirsi legittimo se basato sulle medesime ragioni.
Ciò in relazione al fatto che il “controllo sindacale” della procedura collettiva resterebbe del tutto privo di effettività. I licenziamenti individuali così effettuati, affermano gli ermellini, “sebbene riconducibili agli stessi motivi oggetto della comunicazione iniziale, risulterebbero sottratti al confronto con il sindacato, con l’inevitabile effetto di rendere quel confronto incompleto in ordine al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali del personale eccedente e non attendibile quanto alla successiva partecipazione, all’atto dei licenziamenti, delle concrete modalità di applicazione dei criteri di scelta”.
Laddove, poi, come nella fattispecie di causa, venga raggiunta una intesa con le organizzazioni sindacali, il vulnus riguarderebbe anche il rispetto di tali accordi, la cui obbligatorietà non può esaurirsi nel tempo all’atto della conclusione della procedura. Diversamente, le intese con il sindacato si ridurrebbero ad un passaggio formale del procedimento e non ad una gestione partecipata della situazione aziendale rappresentata dall’imprenditore.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha confermato la correttezza del percorso logico-giuridico dei giudici territoriali laddove, sulla base del preliminare accertamento dell’identità delle ragioni poste alla base della procedura collettiva e del successivo licenziamento individuale, è stata accertata l’illegittimità del secondo.
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