Sospetto di illegittimità in merito alla procedura di licenziamento collettivo (art. 10, del D.Lgs. n. 23/2015). Il tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di Giustizia UE di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario del regime delle tutele crescenti, entrato in vigore dal 7 marzo 2015. In particolare, nell’ambito di un licenziamento collettivo illecito, il datore di lavoro procedeva alla reintegra dei lavoratori, tranne la lavoratrice assunta con il cd. contratto a tutele crescenti, poiché stata assunta dopo il 7 marzo 2015.
Secondo il tribunale di Milano, il comportamento datoriale ha violato i principi costituzionali, la Direttiva Europea 99/70, nonché i dieci articoli della Carta dei diritti fondamentali dell'UE.
Il D.Lgs. n. 23/2015, che disciplina le cd. tutele crescenti, all’art. 10 prevede che in caso di licenziamento collettivo illegittimo (art. 4 e 24, della L. n. 223/1991), intimato senza l’osservanza della forma scritta, scatta il medesimo regime sanzionatorio dei licenziamenti discriminatori.
Si ricorda, al riguardo, che in caso di licenziamento discriminatorio – a prescindere dalla dimensione aziendale – scatta la reintegra sul posto di lavoro. Inoltre, il lavoratore ha diritto a un’indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito (aliunde perceptum), nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.
Regole parzialmente diverse tra vecchi e nuovi assunti valgono anche per i licenziamenti di dirigenti, rispetto ai quali non trovano applicazione le norme sulla reintegrazione sul posto di lavoro ma vige solo una tutela economica, i cui contenuti cambiano in maniera significativa secondo il contratto collettivo nazionale applicato.
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