L’Agenzia delle Entrate fornisce alcune utili indicazioni al libero professionista che ha chiuso la partita Iva italiana per svolgere attività professionale all’estero, ma deve ancora ricevere alcuni compensi arretrati.
Le indicazioni di riattivare la posizione fiscale, emettere fattura e dichiarare i compensi come reddito professionale sono contenute nella risposta n. 218 del 26 aprile 2022.
Il caso analizzato è quello di un avvocato che, a seguito del trasferimento all’estero, ha provveduto alla chiusura della partita IVA a fine 2021, ma successivamente gli viene comunicato il deposito nella cancelleria del Tribunale di un decreto di liquidazione dei compensi avvenuto a dicembre 2021 e relativo ad una prestazione professionale conclusa nel 2014.
L’istante, ritenendo che, in base alla disciplina forense, può continuare ad esercitare la professione nonostante il trasferimento all’estero, chiede di sapere:
se per le attività professionali già concluse, ma non ancora liquidate, può emettere fattura secondo le modalità previste, per le prestazioni occasionali, dalla Legge n. 92/2012;
se tale modalità può essere applicata anche per le attività future eventualmente effettuate in Italia.
Facendo riferimento alle regole generali da seguire per la cessazione dell’attività professionale, l’Agenzia delle Entrate evidenzia come la cessazione dell'attività con la conseguente cessazione della partita IVA, non può prescindere dalla conclusione di tutti gli adempimenti che derivano dalle operazioni attive e passive effettuate.
Come previsto dal decreto IVA (Dpr n. 633/1972), il contribuente che cessa l’attività deve darne comunicazione entro 30 giorni e tale termine decorre dalla data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione, fermo restando le disposizioni relative al versamento dell’imposta, alla fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione.
Pertanto, il professionista che non svolge più l'attività professionale non può cessare la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni rese in tale ambito ancora da fatturare ai propri clienti.
Richiamando le precisazioni già rese in precedenti documenti di prassi, quindi, l’Amministrazione finanziaria ribadisce come la cessazione dell’attività del professionista non coincide con il momento in cui lo stesso smette di esercitare la professione, garantendo ai clienti le sue prestazioni, ma con quello in cui si chiudono i rapporti professionali fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali.
Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile l'attività professionale non può ritenersi cessata.
Di conseguenza, il professionista deve essere dotato di partita IVA al fine di garantire la definizione dei rapporti ancora pendenti successivamente alla cessazione dell'attività.
Con riferimento al caso di specie, dal momento che i crediti sono maturati in un’annualità in cui il professionista era ancora fiscalmente residente in Italia e svolgeva in modo abituale attività di lavoro autonomo, ma liquidati dopo il suo trasferimento all’estero e la chiusura della sua partita IVA, l’Agenzia ritiene che le vie da seguire potrebbero essere, alternativamente:
Il suggerimento reso al professionista, nella risposta n. 218/2022, è quindi il seguente: “riattivare la propria posizione fiscale Iva e, al momento dell'effettivo incasso dei singoli crediti, dovrà rendicontarli attraverso l'emissione di una fattura per prestazione di lavoro autonomo e dichiarare la somma come reddito professionale, utilizzando il modello Redditi Pf dell'anno di competenza”.
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