Misura cautelare in carcere. La riforma non è retroattiva

Pubblicato il 03 luglio 2015

Con sentenza n. 28153 depositata il 2 luglio 2015, la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, ha respinto il ricorso di un indagato, avverso l'ordinanza con cui il Tribunale – in funzione di giudice del riesame – aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere, disposta nei suoi confronti per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

A fonte della richiesta di annullamento della misura carceraria da parte del ricorrente (che lamentava carenza di motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari), il Procuratore Generale – durante la sua requisitoria – sollecitava la Suprema Corte a vagliarne la legittimità, alla luce della recente Legge n. 47/2015 (entrata in vigore l'8 maggio 2015). Detta normativa, nello specifico, è andata a modificare l'art. 274 c.p.p., richiedendo ora, ai fini della custodia in carcere, "l'attuale pericolo che l'indagato commetta gravi delitti della stessa specie di quello per cui si procede" ed aggiungendo altresì che l'attualità e la concretezza del pericolo "non possono desumersi esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede".

La Cassazione in proposito, dopo ampia disamina giurisprudenziale (compresi i principi dettati dalla Corte di Strasburgo), è giunta alla conclusione secondo cui, la retroattività della legge penale più favorevole al reo o c.d. lex mitior (come quella di specie), va ricondotta, in generale, alle sole norme concernenti le fattispecie penali e le sanzioni ivi previste (dunque, di natura sostanziale), con esclusione delle norme processuali, per le quali trova invece applicazione il diverso canone normativo del tempus regit actum ex art. 11 disp. prel. c.c.: principio, quest'ultimo, posto alla tutela delle esigenze di certezza del diritto e per il quale, la norma vigente al momento di emanazione di un atto, ne segna definitivamente le condizioni di legittimità.

In riferimento al caso di specie, la Cassazione ha precisato come la normativa che definisce l'ambito della motivazione in punto di esigenze cautelari (ovvero l'art. 274 c.p.p.), appartenga indubbiamente alla sfera del diritto processuale, dunque alla sfera di applicazione della regola del tempus regis actum. Non può pertanto ritenersi carente di motivazione, il provvedimento che – come nel caso in esame – abbia trascurato di esaminare profili di esigenze cautelari non contemplati dalla norma vigente nel momento in cui è stato pronunciato.

 

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