Il pubblico impiegato che abbia adottato, nell'esercizio delle proprie funzioni, atti amministrativi lesivi di interessi legittimi, ne risponde nei confronti del terzo danneggiato dal provvedimento.
E' quanto disposto dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 16276 depositata il 31 luglio 2015, nell'accogliere il ricorso presentato da un professionista sanitario.
Quest'ultimo, in particolare, si era visto escludere da un concorso presso una Usl (nel cui bando erano stati previsti requisiti che non possedeva) per il conferimento di un incarico di direttore di reparto, che, in base ad una convenzione con l'Università, era destinato proprio ad esso.
Per tale motivo, il sanitario aveva richiesto la condanna in solido della Gestione liquidatoria della Usl e dell'amministratore, per il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della mancata nomina dirigenziale.
La Corte d'Appello aveva tuttavia rigettato la domanda, preliminarmente, adducendo il proprio difetto di giurisdizione, in qualità di giudice ordinario. Nel merito aveva poi ritenuto che, essendo il pregiudizio lamentato qualificabile come "interesse legittimo", di tale danno i pubblici dipendenti non potevano essere chiamati a rispondere.
Accogliendo le censure del sanitario avverso la decisione, la Cassazione ha ribadito, in proposito, come la nota sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite, abbia mutato radicalmente il quadro giurisprudenziale, ammettendo la risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi (oltre che da lesione di diritti soggettivi). D'altra parte, la pacifica risarcibilità degli interessi legittimi, è oggi consacrata anche nello stesso codice del processo amministrativo (art. 7 D.Lgs 104/2010).
Né osta, in proposito, il disposto di cui all'art. 23 D.p.r. 3/1957 (concepito in un contesto di riferimento diverso), il quale, interpretato in un modo costituzionalmente orientato, non esclude affatto la responsabilità del pubblico dipendente per la lesione di interessi legittimi.
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