Le consulenze del commercialista al fallimento richiedono i parametri

Pubblicato il 15 gennaio 2013 Un dottore commercialista che nell’ambito di una procedura di fallimento presta la propria consulenza ha diritto a ricevere un compenso calcolato sulla base delle tariffe professionali, oggi sostituite dai parametri, e non secondo i criteri usati per i consulenti d’ufficio (Ctu).

A stabilirlo la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con la ordinanza n. 730 del 14 gennaio 2013, con cui i giudici di legittimità, accogliendo il ricorso del professionista, fissano il seguente principio di diritto: “poiché l'attività svolta dal consulente di parte nell'ambito del processo ha natura squisitamente difensiva, ancorché di carattere tecnico, mirando a sottoporre al giudicante rilievi a sostegno della tesi difensiva della parte assistita, il suo espletamento è riconducibile al contratto d'opera professionale, con la conseguenza che il relativo compenso deve essere determinato sulla base delle relative tariffe professionali. Mentre non è possibile ricorrere ai criteri seguiti per la determinazione delle spettanze del consulente tecnico d'ufficio, la cui attività non si ricollega a un rapporto contrattuale.”

Le consulenze del perito di parte rese da un professionista iscritto ad un Ordine durante un fallimento assumono, così, carattere difensivo e vanno remunerate sulla base delle tariffe professionali.
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