Le clausole contrattuali vanno interpretate letteralmente

Pubblicato il 11 luglio 2011 In sede di contratto di compravendita di immobile, è assolutamente legittimo il rifiuto del promissario acquirente di concludere il negozio a causa dell’inadempimento del promissario venditore consistente nel non aver procurato i certificati di conformità e di abitabilità, richiesti non solo dalla legge ma oggetto di clausola specifica inserita nel preliminare.

Proprio tale clausola (che recita: “… il promittente venditore dovrà farsi carico di richiedere oltre che a propria cura anche a proprie spese il certificato di abitabilità”) è stata oggetto di eccezione da parte del promissario venditore ritenendo che il giudice di primo grado avesse effettuato una interpretazione errata in quanto se l’ottenimento dei certificati era condizione per la stipula dell’atto pubblico le parti avrebbero dovuto apporre un termine per il reperimento di tali certificati.

Di diverso avviso la Corte di cassazione che, con sentenza n. 14899 del 6 luglio 2011, ha precisato come il giudice di fronte alle clausole inserite dalle parti deve rifarsi all’interpretazione letterale dell’espressione, che se risulta chiara ed univoca, non richiede di far ricorso ad altri criteri ermeneutici. Inoltre è legittimo l’obbligo di procurare da parte del venditore i certificati di abitabilità e di conformità in quanto “l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali”.
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