L’azienda non ha l’obbligo di comunicare all’INPS il numero dei dipendenti che comporta la modifica dell’inquadramento

Pubblicato il 27 febbraio 2018

Per la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 3459 del 13 febbraio 2018) l’azienda non ha alcun obbligo di comunicare all’INPS il numero dei dipendenti che comporta la modifica dell’inquadramento da artigiano ad industria.

L’art. 3,comma 8 della Legge 335/1995 recita "I provvedimenti adottati d'ufficio dall'INPS di variazione della classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali, con il conseguente trasferimento nel settore economico corrispondente alla effettiva attività svolta producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione, con esclusione dei casi in cui l'inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro. In caso di variazione disposta a seguito di richiesta dell'azienda, gli effetti del provvedimento decorrono dal periodo di paga in corso alla data della richiesta stessa. Le variazioni di inquadramento adottate con provvedimenti aventi efficacia generale riguardanti intere categorie di datori di lavoro producono effetti, nel rispetto del principio della non retroattività, dalla data fissata dall'INPS”.

La norma si occupa di regolare gli effetti dei provvedimenti di variazione di inquadramento previdenziale adottati dall'INPS in sede di riesame o di verifica di singole situazioni aziendali, ovvero in conseguenza di una generale variazione d'indirizzo nella classificazione, ma non prevede comunque un obbligo a carico del datore di lavoro di comunicare all'Istituto qualsivoglia variazione a seguito del mutamento dell'attività svolta, né prevede l'obbligo delle aziende di effettuare specifiche dichiarazioni preventive appositamente destinate al fine esclusivo di consentire all'INPS la verifica dei presupposti per la classificazione dell'impresa.

D’altra parte l’azienda, nel caso di specie, presentava la denunce mensili contenenti i dati relativi ai numeri dei dipendenti per cui non è imputabile all’azienda alcuna violazione.

Anche se la legge prevede l'effetto retroattivo della variazione, nei casi in cui l'inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro e che queste (positive o omissive), da cui possono derivare gli effetti retroattivi del provvedimento di variazione, vanno riferite ad una qualsiasi comunicazione in base alla quale sia evincibile la classificazione, gli Ermellini sostengono che il datore di lavoro non deve mai fornire notizie inesatte in occasione delle sue varie comunicazioni all'INPS, ma non già che abbia anche l'obbligo di effettuare una dichiarazione di variazione al mutare dei dati determinanti l'inquadramento e di effettuare comunicazioni ad hoc di natura preventiva.

Quindi le dichiarazioni in questione possono essere soltanto quelle desumibili da atti diretti ad altri fini.

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