L’avvocato ha diritto al compenso anche in assenza di procura
Pubblicato il 23 febbraio 2015
Nelle controversie tra avvocati,
il diritto al compenso deriva
dall’effettivo espletamento dell’attività difensiva – idoneo a dimostrare l’esistenza del mandato –
a prescindere dal rituale conferimento della
procura ad litem.
E’ quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con
ordinanza n. 2321 del 6 febbraio 2015, confermando l’ingiunzione di pagamento con cui un avvocato aveva chiesto ed ottenuto, nei confronti di un suo collega, la corresponsione del compenso professionale per averlo difeso in giudizio.
L’ingiunto aveva tuttavia eccepito, mediante opposizione, l’inesistenza di rituale procura
ad litem.
Con la presente pronuncia – ed a conferma di quanto dedotto nei primi due gradi di giudizio – la Cassazione ha tuttavia stabilito come ai fini del compenso professionale,
non sia rilevante l’esistenza o meno di regolare procura ex art. 83 c.p.c., atteso che il conferimento del mandato ben può essere provato mediante
l’effettiva esplicazione dell’attività professionale; attestata, nel caso di specie, dalla redazione ed il deposito dell’atto introduttivo, di ulteriori memorie difensive e dalla sottoscrizione dei verbali di udienza.
La procura, infatti, ha esclusivamente rilievo ai soli fini della riferibilità al cliente degli effetti dell’attività professionale svolta.
Conseguentemente, l’esistenza del mandato - e dunque l’ insorgenza delle relative obbligazioni pecuniarie a carico del cliente –se concretamente ed efficacemente espletato, può essere pacificamente dimostrata
anche in assenza di formale procura.