Lavoro all’estero per i residenti in Italia con calcolo proporzionale
Pubblicato il 09 luglio 2013
La
risoluzione n. 48 dell’8 luglio 2013, emessa dalle Entrate, interviene sul tema del lavoro dipendente “prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che, nell'arco di dodici mesi, soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni”. In tal caso il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo.
Premettendo che il mantenimento della residenza in Italia comporta l'obbligo di scontare ivi le imposte anche sui redditi prodotti all'estero (principio della "world wide taxation"), per evitare la doppia imposizione conseguente al pagamento delle imposte nel paese di residenza del dichiarante e nel paese di produzione del reddito, si procede a neutralizzare tale doppia imposizione con l'applicazione delle convenzioni internazionali.
Nel caso in cui non sia stato stipulato alcun accordo, scatta l'applicazione dell'articolo 165 del Tuir: la possibilità, per il contribuente fiscalmente residente in Italia, di ottenere un credito d’imposta per le tasse pagate all’estero sui redditi ivi realizzati.
Sul criterio di determinazione del credito d'imposta ex articolo 165 del Tuir si spiega quanto segue.
Le imposte versate all’estero a titolo definitivo devono essere ridotte in proporzione al rapporto tra la retribuzione convenzionale - calcolata in base all’articolo 51, comma 8-bis, del Tuir - e il reddito di lavoro dipendente che sarebbe stato tassabile in via ordinaria in Italia.
Dunque, al fine di evitare la distorsione dell’utilizzo in detrazione delle imposte estere gravanti
sul reddito detassato, occorre rapportare il reddito estero convenzionale (e non quanto realmente percepito) al reddito che risulterebbe tassabile in via ordinaria se la stessa prestazione fosse svolta in Italia (senza tener conto della retribuzione convenzionale).