Con sentenza n. 12128 depositata l'11 giugno 2015, la Corte di cassazione ha confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano ritenuto che l'articolo 55, comma 4 del Decreto legislativo n. 151/2001, vigente al momento dei fatti di causa e sulla base del quale le dimissioni della lavoratrice in gravidanza devono essere convalidate dal competente servizio ispettivo del ministero del Lavoro, fosse estensivamente applicabile anche all'ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto.
A fronte delle doglianze del datore di lavoro ricorrente secondo cui la Corte territoriale aveva operato un'errata sussunzione della fattispecie concreta nell'ambito di applicazione dell'articolo 55 citato, i giudici di Cassazione hanno evidenziato come, in realtà, la ratio della normativa in oggetto fosse quella di evitare che, nel periodo considerato della gravidanza, potesse essere raggiunto il medesimo effetto di risoluzione del rapporto di lavoro derivante da un licenziamento, attraverso un atto che è formalmente ad iniziativa della lavoratrice o del lavoratore ma che non corrisponde ad una volontà dismissiva liberamente formatasi.
Secondo la Suprema corte, infatti, nonostante la disposizione in esame si riferisca testualmente alle sole “dimissioni”, la stessa deve ritenersi applicabile anche alle ipotesi di “risoluzione consensuale”.
Ed infatti, pur se le due tipologie negoziali si distinguono chiaramente per struttura, esse hanno comunque in comune l'effetto, che è quello di produrre la risoluzione del rapporto di lavoro; e proprio questo effetto è tenuto in considerazione dall'intento protettivo della norma, “finalizzata ad evitare che la parte che lavora, in un momento così particolare della propria vita in cui è madre o padre, risolva il rapporto esprimendo una volontà che non si sia correttamente determinata”.
In tale prospettiva, va quindi ritenuta “omogenea” la situazione di chi si dimette senza che sia formalmente acquisito il consenso del datore con la situazione di chi si dimette con l'accordo di questi, nell'ambito, ossia, di una risoluzione consensuale del rapporto.
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