Lavoratori delle cooperative, stop al dumping salariale

Pubblicato il 25 febbraio 2019

I lavoratori delle cooperative non possono ricevere una retribuzione al di sotto dei minimi tabellari stabiliti dai CCNL del settore o della categoria affine siglati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza nl 4951 del 20 febbraio 2019. Ciò, spiegano i giudici cassazionisti, non si traduce in una lesione del pluralismo sindacale, in quanto le cooperative rimangono libere di scegliere qualsivoglia contratto collettivo, ma mira semplicemente a restringerne gli spazi di operatività sul piano del trattamento retributivo minimo.

Lavoratori delle cooperative, la vicenda

Nel caso di specie, una lavoratrice pretendeva dalla cooperativa per cui lavorava di essere retribuita in ragione delle tariffe salariali contenute nel CCNL “Pulizie Multiservizi”, livello 3, con conseguente diritto alle differenze retributive maturate, anziché in base al CCNL “Portieri e Custodi” richiamato nel regolamento della cooperativa.

La Corte d’Appello di Genova, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto il ricorso della dipendente. I giudici hanno ritenuto che l'obbligo per la società cooperativa di applicare il trattamento economico previsto dal contratto collettivo nazionale del settore o della categoria affine a quella in cui la stessa opera, derivasse dalla legge (art. 3, L. n. 142 del 2001) e non dall'adesione della cooperativa ad una determinata associazione sindacale e che tale obbligo, in quanto posto da una norma imperativa, dovesse prevalere sui diversi accordi eventualmente stipulati con il singolo socio lavoratore.

Inoltre, è stato rilevato che in base al settore in cui opera la cooperativa (servizi per la conservazione e tutela del patrimonio mobiliare e immobiliare di operatore loqistico di controllo degli accessi) la contrattazione collettiva di riferimento non potesse essere il CCNL “Portieri e Custodi”, relativo ai rapporti di lavoro dei dipendenti di proprietari di fabbricati, bensì quello per il settore “Pulizia Multiservizi”, concernente i rapporti di lavoro degli addetti alle pulizie, alla manutenzione, al controllo degli accessi degli immobili e, in generale, ai servizi integrati svolti a favore di terzi da imprese del settore pulizie o altre imprese di servizi.

La parte datoriale ha impugnato la sentenza ed è ricorsa in Cassazione.

Lavoratori delle cooperative, si applica il CCNL più rappresentativo

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso e dato nuovamente ragione alla dipendente. Il principio sul quale si basano gli Ermellini è molto semplice: a prescindere dal contratto collettivo applicato dalla società, ai lavoratori di cooperative deve essere garantito un trattamento economico complessivo non inferiore ai minimi previsti, per analoghe prestazioni, dal CCNL del settore o della categoria affine siglato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Sul punto, i giudici tengono a sottolineare che tale principio non costituisce affatto il venir meno del pluralismo sindacale, poiché la possibilità di aderire a qualsivoglia CCNL resta intatta. L’intervento riguarda esclusivamente gli standard minimi inderogabili, tra i quali figura, appunto, il trattamento retributivo minimo.

Tra l’altro, se così non fosse, si concretizzerebbe una violazione dell’art. 36 della Costituzione, che ha la finalità di garantire una retribuzione sufficiente e proporzionata al lavoro prestato.

In definitiva:

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