Il soggetto che svolge lavoro subordinato – ovvero non qualificabile come attività imprenditoriale, commerciale, artigianale e professionale – assume la qualità di consumatore, ai fini della determinazione della competenza (per l’appunto, foro del consumatore), relativamente ad una causa da esso avviata contro il proprio avvocato per il risarcimento dei danni da inesatto adempimento dell’attività professionale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, secondo la quale il rapporto di lavoro subordinato non integra un’“attività professionale” idonea a far ritenere sussistente la qualità di professionista e, per converso, ad escludere quella di consumatore.
Innanzitutto la disciplina relativa alla tutela del consumatore, individua nel professionista un soggetto che opera direttamente sul mercato per un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale. Mentre nel rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore non svolge sul mercato la propria attività economica, ma effettua la sua prestazione lavorativa esclusivamente mediante inserimento nella struttura ed organizzazione aziendale del datore di lavoro.
Nella fattispecie in esame, dunque – conclude la Corte con ordinanza n. 6634 del 14 marzo 2017 – poiché si versa in ipotesi di contratto d’opera professionale intellettuale tra l’avvocato ed il consumatore, trova applicazione il foro esclusivo di quest’ultimo, a norma del D.Lgs. n. 205/2005, art. 33.
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