Il divieto sancito dall'art. 33 comma 5 della Legge n. 104/1992, di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assista con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretato in termini costituzionalmente orientati, in funzione della tutela della persona disabile.
Conseguentemente, il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare che egli assiste non si configuri come grave.
Questo, salvo che il datore di lavoro, a fronte della natura ed il grado dell’infermità psico - fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, non suscettibili di essere altrimenti soddisfatte.
E' il principio richiamato nel testo dell'ordinanza della Corte di cassazione n. 25836 del 1° settembre 2022, pronunciata sul giudizio di rinvio disposto nell'ambito di una causa avente ad oggetto l'accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato ad una dipendente, in conseguenza della mancata ottemperanza al provvedimento di trasferimento.
La Corte d’appello aveva premesso, in adesione al predetto principio, che la tutela di cui all’art. 33 citato non richiede una situazione di gravità dell’handicap del familiare assistito.
Nel merito, tuttavia, aveva ritenuto che la lavoratrice non avesse assolto all’onere di dimostrare la serietà e rilevanza della disabilità sotto il profilo della necessità di assistenza del familiare convivente.
La prestatrice si era nuovamente rivolta alla Suprema corte, censurando la sentenza di gravame per aver ritenuto non provate tali circostanze, sebbene l'assistita (la madre) fosse portatrice di handicap limitante la capacità di deambulazione e di stazione eretta prolungata.
Il ricorso è stato giudicato inammissibile dal Collegio di legittimità: la Corte territoriale si era attenuta al principio di diritto enunciato dalla Cassazione in sede rescindente per poi procedere all’accertamento in fatto della fattispecie in esame, alla luce delle prove raccolte.
La ricorrente, invece, con apparente denuncia di violazione di legge aveva criticato, nella sostanza, la valutazione degli elementi fattuali compiuta dalla Corte di rinvio, sollecitando una revisione dell’apprezzamento delle prove e del ragionamento decisorio, non consentita in sede di legittimità.
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