Qualora il Fisco contesti all’imprenditore l’antieconomicità di un’operazione in quanto basata su contabilità considerata inattendibile perché contrastante con i principi di ragionevolezza, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che dovrà dimostrare la bontà di detta operazione.
A seguito delle pronunce delle Commissioni tributarie di conferma dell’accertamento emesso sulla base degli studi di settore, una società è ricorsa in Cassazione per dolersi dell’antieconomicità delle operazioni decretata dai giudici di merito e della violazione dell’onere della prova.
Con ordinanza n. 12461 del 21 maggio 2018, i giudici di Cassazione hanno confermato la legittimità dell’accertamento.
Infatti, il Fisco può dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente.
Non rileva, in questo caso, l’esistenza di una formale regolarità delle scritture contabili, visto che le incongruità dei dati economici esposti nelle scritture contabili priva le stesse di attendibilità.
Nel caso studiato dai giudici, l’accertamento era scaturito dall’applicazione di una percentuale di ricarico del 10% inferiore al minimo di quella delle imprese del settore di riferimento.
La rilevata antieconomicità della gestione non è stata contrastata da elementi contrari avanzati dalla società ricorrente. Ciò esclude una violazione dell’onere della prova.
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