La stima effettuata dall’Ufficio tecnico erariale (UTE) costituisce, nell’ambito del giudizio tributario, un semplice atto di parte, ossia una perizia di parte idonea a fondare la pretesa dell’Ufficio finanziario nella dialettica del processo.
Così, nel caso in cui la rettifica del valore di un immobile si fondi sulla stima dell’UTE, il giudice investito della relativa impugnazione è tenuto a verificare se la stima sia in grado di superare le contestazioni dell’interessato e a fornire la prova dei più alti valori pretesi, esplicitando in modo puntuale, nella motivazione della sentenza, le ragioni del proprio convincimento.
In particolare, qualora siano state mosse delle critiche puntuali e dettagliate alla valutazione contenuta nella stima UTE, il giudice che intenda disattenderle è obbligato a indicare in motivazione le ragioni della sua scelta, non potendosi limitare a richiamare acriticamente le conclusioni dell’Ufficio.
E’ sulla base di questi assunti che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 8249 del 4 aprile 2018, ha accolto il ricorso avanzato da una società contro la decisione di merito che aveva confermato un avviso di rettifica dei valori dichiarati di un immobile, oggetto di compravendita, sulla base di una stima dell’UTE.
Nella specie, la ricorrente aveva lamentato una insufficiente motivazione, posto che la CTR non aveva illustrato le contestazioni dalla stessa espresse, anche al fine di smentirle, ma aveva dato esclusivo rilievo alle conclusioni rassegnate dall’Ufficio.
La Sezione tributaria civile ha, quindi, cassato la sentenza impugnata rinviando alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, per il riesame e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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