La confessione del fatto in un procedimento penale collaterale non conta in quello civile

Pubblicato il 02 agosto 2010

La Cassazione, con sentenza n. 17097 del 2010, interviene sul ricorso di una società avverso il giudizio sfavorevole ottenuto nei precedenti gradi di giudizio, riguardo al licenziamento di una dipendente ritenuta responsabile di avere volontariamente cancellato dati aziendali di notevole importanza dal computer affidatole in via esclusiva, per ritorsione contro il trasferimento impostole.

La Suprema corte chiarisce che non può legittimare il licenziamento del lavoratore la cancellazione di file aziendali dal pc in uso se non è dimostrabile che il pc era effettivamente di uso esclusivo del dipendente e che il lavoratore era tenuto alla conservazione dei file sul pc in uso esclusivo. Nel caso, anzi, era stato rilevato l’obbligo di conservare i file nel server centrale ed anche in formato cartaceo presso altre società.

Non rileva, inoltre, che il lavoratore abbia confessato il fatto contestato in un procedimento penale collaterale, poiché tali dichiarazioni non avevano valore di piena prova poiché l’ammissione non era stata resa né nel procedimento civile né alla controparte: “le affermazioni in questione erano ... liberamente apprezzabili dalla Corte territoriale, ... l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale ... non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento ...”.

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