Una società in liquidazione, con fatture emesse in regime di esigibilità differita non ancora incassate, non può chiudere la partita Iva, a meno che non decida di anticipare l'Imposta dovuta, indicandola nella dichiarazione annuale finale.
La chiusura anticipata della partita Iva e la cancellazione dal Registro delle imprese non eliminano l’obbligo di assolvere l’Iva differita. La società, quindi, è tenuta:
a versare l’imposta pur non avendo ricevuto il corrispettivo;
oppure a tenere aperta la partita Iva finché non lo riceve.
Il chiarimento arriva dalla risposta ad interpello n. 666 del 6 ottobre 2021 dell’Agenzia delle Entrate.
L’istanza è stata sollevata da una società che ha reso prestazioni di servizi nei confronti di un ente locale, emettendo fatture con esigibilità differita e non ancora pagate, ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del Dpr n. 633/1972.
Volendosi cancellare dal Registro delle Imprese, la società chiede se sia possibile assegnare tale credito con il riparto finale del procedimento di liquidazione al socio unico.
Così, interroga l’Amministrazione finanziaria in merito agli adempimenti Iva in relazione ai suddetti crediti, considerato che il pagamento delle fatture potrebbe aver luogo solo dopo la liquidazione della società e la chiusura della partita Iva.
Secondo la società è possibile chiudere la partita Iva dopo la ripartizione dell'attivo - senza che sia necessario attendere il pagamento dei crediti - salvo provvedere all'apertura di una nuova partita IVA quando le somme saranno incassate dal cessionario-socio unico, al fine di procedere agli adempimenti tributari ad esse collegati.
Nella risposta n. 666/2021, l’Agenzia richiama le disposizioni del Decreto Iva ed, in particolare, quelle in materia di esigibilità differita delle cessioni e prestazioni nei confronti degli enti pubblici.
Nello specifico, nel caso in cui il cedente o prestatore cessi l’attività, occorre far riferimento all'articolo 35, comma 4, del Dpr 633/72, che stabilisce che il termine per la presentazione della dichiarazione di cessazione dell'attività decorre dalla data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione dell'azienda, e che nell'ultima dichiarazione annuale si deve tenere conto anche dell'Iva non ancora esigibile in virtù del quinto comma dell'art. 6 del Decreto Iva.
Analogamente, l’Agenzia richiama quanto indicato nella sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 8059/2016, secondo cui: il contribuente che vuole chiudere comunque la partita Iva prima di avere definito tutte le situazioni rilevanti per il tributo, in particolare prima di avere incassato l'imposta indicata sulle fatture ad esigibilità differita, è “vincolato a due adempimenti”:
versare "preventivamente" l'imposta indicata nella fattura ad "esigibilità differita", ancorché non riscossa;
computarla nell'ultima dichiarazione, così come precisato dall'Agenzia nella risoluzione 232/2009.
Tali principi – secondo l’Amministrazione finanziaria - tornano applicabili anche al caso prospettato, con la conseguenza che, qualora la società intenda chiudere in anticipo la partita IVA e cancellare l'attività dal Registro delle imprese, con conseguente estinzione della società, è comunque tenuta a computare l'Iva differita nella dichiarazione annuale da presentare con riferimento all'ultimo periodo d'imposta prima della chiusura dell'attività.
Alla fattispecie in esame, però, non sono applicabili i chiarimenti resi con la risposta 163/2001, in cui, in via residuale, era stata ammessa la possibilità per il curatore fallimentare di riaprire la partita Iva all’atto dell’incasso dei corrispettivi, solamente in ragione del peculiare caso esaminato in tale sede (rilevandosi una mancanza di coordinamento delle norme fiscali rispetto a quelle fallimentari).
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