Con la sentenza n. 45642 depositata il 17 novembre 2015, la Corte di cassazione, ha confermato il sequestro preventivo emesso a carico di una banca, nell’ambito di un procedimento penale per i reati di usura aggravata ai danni di due società.
La Suprema corte ha, in particolare, richiamato l’assunto secondo cui in tema di usura, il profitto confiscabile, identificandosi nell’effettivo arricchimento patrimoniale già conseguito, ed in rapporto di immediata e diretta derivazione causale dalla condotta illecita concretamente contestata, coincide con gli interessi usurari concretamente corrisposti.
Detto principio è stato tuttavia completato dai giudici di legittimità in relazione alla fattispecie specificamente esaminata.
La Cassazione, in particolare, ha aderito alle argomentazioni rese dai giudici di merito secondo cui la concreta corresponsione degli interessi può anche consistere nell’emissione di un titolo di credito a favore del supposto usuraio ed indipendentemente dal fatto che detto titolo sia stato poi utilizzato o posto all’incasso.
Tale situazione, infatti, sarebbe del tutto assimilabile a quella del rapporto tra correntista ed istituto bancario laddove, attraverso la stipulazione del relativo contratto, la banca finisce per contabilizzare a proprio favore la voce passiva degli interessi (nella specie usurari) a carico del cliente, il quale si vede corrispondentemente ridurre il proprio saldo attivo, essendo già posto nella condizione di poter disporre esclusivamente del saldo del proprio conto corrente decurtato degli interessi stessi.
In tale contesto – conclude la Corte – è indubbio che il profitto della banca debba intendersi già concretamente conseguito per effetto di diretta derivazione causale della condotta dell’agente e del fatto che non ci si trovi in presenza di un credito meramente “virtuale”.
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