Installazione di telecamere con riprese in aree aperte al pubblico: non è illecita

Pubblicato il 14 maggio 2019

La Cassazione ha annullato la condanna per il reato di violenza privata impartita dai giudici di merito nei confronti di due soggetti che avevano installato, sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni, delle telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora, orientate su zone e aree aperte al pubblico transito. 

L'installazione aveva costretto gli abitanti della zona a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti; per questo, alcuni di loro, si erano costituiti parte civile.

L'installazione può configurare una violenza privata?

A fronte di questa decisione, la Corte di legittimità era stata chiamata a valutare se, nel caso particolare, la condotta dei due imputati fosse configurabile come violenza privata.

Gli Ermellini, in particolare, dovevano verificare se l'installazione di videocamere - sotto il profilo oggettivo e causale - potesse essere considerata idonea a indurre la descritta coartazione negli abitanti della zona, e, specificamente, nelle parti civili, che, secondo l’accusa, erano stati così costretti a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti.

Condanna annullata dalla Cassazione

Quesiti a cui il Collegio di legittimità, con sentenza n. 20527 del 13 maggio 2019, ha dato risposta negativa, sulla base di più ordini di considerazioni.

In primo luogo, ha ricordato che l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce, di per sé, un'attività illecita.

E non potevano esserlo, nella specie, nemmeno le concrete modalità di attuazione della condotta descritta in imputazione, posto che non era nemmeno ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti, l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 cod.pen..

Si era trattato, infatti, di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione.

Secondo la Corte, inoltre, il reato di violenza privata non poteva dirsi integrato in quanto non era riscrontrabile, per le caratteristiche dell'azione, una costrizione a tollerare qualcosa di ulteriore e diverso dalla condotta medesima.

Questo, quando è la stessa giurisprudenza di legittimità a riconoscere che "detto delitto non è configurabile, allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un "pati", ma siano essi stessi produttivi dell'effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa".

Nel caso esaminato, in definitiva, l'installazione della videosorveglianza - peraltro debitamente segnalata - non era da ritenersi illecita né tale da configurare il reato contestato.

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