Inidoneità alla mansione: reintegra se il licenziamento è illegittimo

Pubblicato il 22 marzo 2022

Confermata, dalla Corte di cassazione, la decisione con cui la Corte di appello aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato da una società ad un proprio dipendente, in relazione ad una sopravvenuta inidoneità al lavoro.

La Corte territoriale aveva rigettato il reclamo avanzato dalla datrice di lavoro e confermato, contestualmente, la reintegrazione del prestatore nel posto di lavoro, con condanna della società al risarcimento del danno e al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Secondo i giudici di merito, gli accertamenti medici posti alla base del recesso erano sindacabili, soprattutto a fronte di una perizia medico legale, come quella disposta nel corso del giudizio, che aveva accertato un'inidoneità fisica del lavoratore relativa alle mansioni di ausiliario, ossia solo a uno dei profili dell'ampio livello professionale e di inquadramento del lavoratore.

In tale contesto, parte datoriale non aveva dimostrato di non poter diversamente utilizzare il dipendente, eventualmente anche in mansioni inferiori: la società, sul punto, non aveva allegato né offerto alcuna prova, anche solo in via presuntiva, dell'impossibilità di una diversa utilizzazione, sebbene lo stesso lavoratore, prima ancora del licenziamento, avesse prestato il suo consenso all'adibizione a mansioni inferiori.

A fronte di tali conclusioni, la società datrice aveva avanzato ricorso in sede di legittimità, denunciando violazione e falsa applicazione di legge: secondo la sua difesa, la Corte di merito aveva erroneamente ritenuto sindacabili gli accertamenti medici relativi all'inidoneità alle mansioni, peraltro nemmeno prontamente opposti dal prestatore. 

Inidoneità fisica sopravvenuta? Spetta al datore l'onere di provare l'impossibilità del repechage

Con ordinanza n. 9158 del 21 marzo 2022, la Suprema corte ha giudicato infondata tale censura, che non si confrontava con quanto affermato, sul punto, dalla Corte territoriale.

Quest'ultima aveva ben chiarito, da un lato, che nessun onere di allegazione gravava sul lavoratore e, dall'altro, che nessuna prova era stata offerta dalla datrice circa la situazione di stabile copertura di posti di lavoro compatibili con la posizione del lavoratore sia al momento del licenziamento sia per un congruo periodo successivo ad esso.

L'art. 42 del D. Lgs. n. 81/2008 - hanno evidenziato gli Ermellini - nel prevedere che il lavoratore divenuto inabile alle mansioni specifiche possa essere assegnato anche a mansioni equivalenti o inferiori, nell'inciso "ove possibile" contempera il conflitto tra diritto alla salute ed al lavoro e quello al libero esercizio dell'impresa.

La disposizione in esame, in particolare, pone a carico del datore l'obbligo di ricercare le soluzioni che, nell'ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti ed idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e lo grava, inoltre, dell'onere processuale di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, per l'attuazione dei detti diritti.

Nel caso esaminato, il giudice di merito aveva accertato che nel livello professionale e di inquadramento del lavoratore esisteva un'ampia gamma di profili cui poteva essere adibito, tenuto conto del fatto che questi era risultato inidoneo alle sole mansioni di ausiliario.

Inoltre, era stato dato atto del fatto che il lavoratore si era da subito reso disponibile ad essere assegnato anche a mansioni inferiori.

Sulla base di tali premesse, il giudice del reclamo, nel prendere atto dell'orientamento giurisprudenziale che grava il datore di lavoro dell'onere di provare, anche attraverso presunzioni, l'impossibilità del repechage, ha escluso che tali circostanze di fatto fossero state anche solo allegate.

Tutela reintegratoria se il licenziamento è illegittimo

Rispetto, infine, alla tutela applicabile, la Cassazione ha giudicato corretto il ricorso alla reintegrazione, ai sensi dell'art. 18 comma 7 della Legge n. 300/1970

E' stato richiamato, in proposito, il principio secondo cui "il licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica accompagnato dalla violazione dell'obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute, integra l'ipotesi di difetto di giustificazione, suscettibile di reintegrazione".

Reintegra che è possibile quando risulti manifestamente insussistente il fatto posto a base del recesso, vale a dire in caso di chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del licenziamento.

La "manifesta insussistenza" - ha  puntualizzato, infine, la Corte - va riferita ad un'assenza dei presupposti evidente e facilmente verificabile sul piano probatorio, che consenta di apprezzare la pretestuosità del recesso medesimo. 

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