In caso di cessazione del rapporto di lavoro, le indennità spettanti sono assoggettate alla prescrizione quinquennale e non all'ordinario termine decennale.
Ciò, a prescindere dalla natura, retributiva o previdenziale, dell'indennità medesima, ovvero dal tipo di rapporto, subordinato o parasubordinato, in essere, in ragione dell'esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall'eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti nel momento della chiusura del rapporto.
E’ il principio richiamato dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 14062 del 21 maggio 2021, pronunciata in accoglimento del ricorso di una Spa che era stata condannata, in sede di merito, al pagamento, in favore di un ex agente, dell'indennità di preavviso ex art. 1750 cod. civ.
La Corte di gravame aveva ritenuto che il diritto alla predetta indennità fosse soggetto al termine di prescrizione decennale e che tale termine, dopo essere stato interrotto, non fosse nella specie spirato.
La Società aveva proposto ricorso per cassazione lamentando, tra gli altri motivi, la violazione o falsa applicazione dell'art. 2948 n. 5 cod. civ. anche in relazione all'art. 2946 cod. civ., per avere, la Corte d’appello, ritenuto applicabile, all'indennità sostitutiva del preavviso e all'indennità in caso di cessazione del rapporto ex art. 1751 cod. civ., il termine di prescrizione ordinario in luogo del termine quinquennale.
Nell'accogliere le doglianze di parte ricorrente, gli Ermellini hanno ricordato come l'art. 2948 n. 5 cod. civ., disponendo che si prescrivono in cinque anni le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, trovi la sua ragione giustificativa nell'opportunità di sottoporre a prescrizione breve i diritti del lavoratore che sopravvivano al rapporto di lavoro, in quanto nati nel momento della sua cessazione.
Si vogliono evitare, in tal modo, le difficoltà probatorie derivanti dall'esercizio di azioni troppo ritardate rispetto all'estinzione del rapporto sostanziale.
Una tale ratio legis – si legge nella decisione – “sussiste per qualsiasi tipo di indennità, sia di natura retributiva sia previdenziale ed anche nel caso in cui si tratti di rapporto parasubordinato, quando, come nel caso in esame, sia a carico del datore di lavoro”.
Difatti, l'assenza, nel testo dell'art. 2948 citato, di specifiche distinzioni di sorta induce a includere nella sua previsione qualsiasi credito del prestatore di lavoro purché esso trovi causa nella cessazione del rapporto, e quindi anche l'indennità sostitutiva del preavviso.
Si tratta di un orientamento anche recentemente confermato dalla Cassazione (sentenza n. 16139/2018), ritenuto, dalla Sezione lavoro, “del tutto prevalente nella giurisprudenza” di legittimità e, come tale, meritevole di ricevere continuità.
E’ stato in definitiva ribadito il principio secondo cui: "Le indennità spettanti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 5 cod. civ. a prescindere dalla loro natura, retributiva o previdenziale, in ragione dell'esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall'eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti in occasione della chiusura del rapporto".
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