Con ordinanza n. 5318 del 28 febbraio 2025, la Corte di Cassazione, Sezione tributaria, è tornata a pronunciarsi sulla questione della compatibilità tra la posizione di lavoratore dipendente e le cariche sociali all'interno di una società di capitali, con particolare riferimento alla deducibilità fiscale dei relativi costi dal reddito di impresa.
La vicenda esaminata trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione, tra gli altri, i compensi erogati agli amministratori che risultavano anche dipendenti della società.
Dopo che la Commissione tributaria regionale aveva accolto il ricorso della contribuente e confermato la deducibilità di tali costi, l’Ufficio delle Entrate aveva presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero applicato erroneamente la normativa di riferimento.
Nell'accogliere le doglianze del Fisco, la Suprema corte ha richiamato l'orientamento già affermato con la sentenza n. 36362/2021, secondo cui, in materia di imposte sui redditi, non è possibile essere contemporaneamente lavoratore dipendente e presidente del consiglio di amministrazione o amministratore unico di una società di capitali.
A seguire, è stato evidenziato che la compatibilità tra la carica di socio amministratore o membro del consiglio di amministrazione e quella di lavoratore dipendente deve essere valutata in concreto, verificando l'esistenza di un effettivo vincolo di subordinazione, un potere direttivo e disciplinare, e lo svolgimento di mansioni differenti rispetto a quelle previste per la carica sociale.
La semplice osservanza di un orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione non sono elementi sufficienti per configurare un rapporto di subordinazione.
Perché il costo del lavoro sia deducibile, è necessario che la subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio-dirigente alle direttive e al controllo dell’organo collegiale amministrativo composto dagli altri soci.
In altri termini, la compatibilità tra la qualità di socio-amministratore e quella di dipendente deve essere valutata sulla base di elementi concreti, che dimostrino l’effettiva sussistenza di un vincolo gerarchico e direttivo.
Ne discende che, da una parte, alla persona che ricopre l’incarico di presidente del Cda è inibito svolgere attività di lavoro subordinato in seno alla stessa società; dall'altra, se il socio è membro del Cda occorre verificare in concreto l’esistenza di un parallelo rapporto di lavoro subordinato, fondato o meno sul potere direttivo, gerarchico e disciplinare nei suoi confronti.
Di seguito il principio di diritto enunciato dalla Cassazione:
"In tema di imposte sui redditi, sussiste l’assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa. La compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, con quella di lavoratore dipendente della stessa società, ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito di impresa, non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e di quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita".
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