Il mandato professionale all’avvocato per l'espletamento di attività di consulenza e, comunque, di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, ad substantiam ovvero ad probationem, potendo essere dimostrato anche con prova testimoniale.
L’incarico al professionista, infatti, può essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti.
Ne discende che il giudice, in sede di accertamento del credito professionale, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, può ammettere l'interessato alla prova, anche con testimoni, sia del contratto che del suo contenuto.
E anche la certezza della data del conferimento dell'incarico, in detto contesto, può essere dimostrata facendo ricorso a una prova per testimoni.
Difatti, l'eventuale inopponibilità, per difetto di data certa ex articolo 2704 del Codice civile, non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, sicché il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall'ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall'oggetto del negozio stesso.
E’ quanto evidenziato dalla Corte di cassazione, Prima sezione civile, con sentenza n. 29614 del 16 novembre 2018.
In questa, gli Ermellini hanno ulteriormente precisato come all’ammissione di una prova testimoniale per dimostrare il conferimento dell'incarico non osti il disposto dell'articolo 2233, comma 3, c.c., che prescrive la forma scritta per i patti che stabiliscono i compensi professionali degli avvocati.
Questa prescrizione – viene sottolineato - riguarda non l'esistenza del mandato professionale, ma la sola misura del compenso, da determinarsi, in caso di mancato ricorso alla forma necessaria per la validità della pattuizione, secondo i criteri previsti dal citato art. 2233 cod. civ..
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